All’epoca della stesura del Trattato istitutivo della Comunità economica europea si ritenne opportuno riservare un trattamento differenziato al settore primario rispetto a quello secondario e terziario; infatti, per questi ultimi la previsione era sostanzialmente solo quella di garantire la libera concorrenza e di impedire la creazione di monopoli e di posizioni dominanti che abusassero dei loro vantaggi, nel settore agricolo si stabilì che non si potessero lasciare dipendere dal libero gioco del mercato i redditi gli agricoltori, numerosi e deboli, oltre che produttori di beni assoggettati al così detto “doppio rischio”, cioè del mercato e del clima.
A causa di tale convinzione il titolo sull’agricoltura del Trattato di Roma fu formulato prevedendo interventi al fine di “incrementare la produttività dell’agricoltura”, “assicurare così un tenore di vita equo alla popolazione agricola”, “stabilizzare i mercati”, “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti” e “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori” (art. 39 del Trattato CEE). In definitiva, si convenne sull’idea che il settore primario fosse, come ancora è, diverso dagli altri settori produttivi.
La PAC ideata nel 1960/62 e restata sostanzialmente immutata fino a quasi la fine del secolo scorso, si caratterizzava per un forte interventismo a protezione dei prezzi dei prodotti agricoli, cosa che ha consentito all’Europa comunitaria di diventare una grande potenza alimentare e di rispettare l’art. 39 del Trattato CEE, migliorando le condizioni di vita degli agricoltori, favorendo lo sviluppo della produttività in agricoltura, garantendo gli approvvigionamenti e evitando sbalzi nel prezzo dei prodotti destinati ai consumatori.
La PAC, riformata improvvidamente nel 2003, con lo scopo di favorire un rinnovo dell’Accordo agricolo contenuto nel Trattato di Marrakech (rinnovo non ancora avvenuto!!!) ha rovesciato l’originaria impostazione come segue:
- favorendo la riduzione delle produzioni agricole;
- eliminando le protezioni che stabilizzavano il mercato dei prodotti agricoli con la conseguenza di portare gli agricoltori europei a confrontarsi con i produttori del mondo, che hanno palesemente costi di produzione del tutto diversi (e gli agricoltori, se de localizzano le loro imprese, abbandonano i terreni europei);
- rendendo precarie le condizioni di reddito delle imprese agricole e dei loro imprenditori;
- permettendo che il mercato europeo sia assoggettato, per i differenti prodotti, a sbalzi che non garantiscono prezzi ragionevoli ai consumatori.
Tutto ciò è avvenuto malgrado la vigenza dell’art. 39 (oggi 39 ancora, nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea di Lisbona), che è restato immutato. Balzano agli occhi, in tutta evidenza, le grandi violazioni del Trattato operate dai riformatori del 2003 e da quelli successivi, che aggravano il distacco dal dettato del Trattato di riforma in riforma.
Ma Consiglio e Parlamento europeo sanno che esiste l’art. 39? E sanno che esso deve essere rispettato? E cosa fanno gli Stati membri perché esso non sia disatteso?
Vogliamo parlarne pubblicamente? I Georgofili sono pronti a indire un dibattito europeo sull’argomento anche per confrontare l’insipienza di tale politica con quella di certi Paesi emergenti (e non), che stanno acquistando terreni agricoli in ogni parte del mondo.