Nella lezione introduttiva del corso di “Tecniche di difesa delle colture dai parassiti animali”, per mantenere vivo l’interesse degli studenti, messo a dura prova dalle tre ore consecutive di lezione imposte dall’ordinamento didattico, nel tracciare un quadro evolutivo delle metodologie di lotta, accenno al fatto che, fin da tempi remoti, l’uomo ha trovato in vari organismi animali, e in particolare negli insetti, dei formidabili competitori nella conquista di risorse alimentari e per contrastarli, in mancanza di adeguate conoscenze e di validi mezzi di lotta, ricorreva a pratiche magiche o invocava la protezione divina.
Nelle religioni politeiste molte divinità assicuravano la protezione contro tali ricorrenti calamità. Il dio Mardok, adorato da Assiri e Babilonesi, era rappresentato sotto forma di mosca o di cavalletta (due dei principali flagelli dell’epoca). L’amuleto del dio Horus proteggeva gli Egizi da tutti i leoni del deserto, tutti i coccodrilli del fiume, tutti i vermi sia quelli che mordono, sia quelli che pungono. Più “concretamente” alcuni esperti dell’epoca consigliavano di usare il grasso di uccelli insettivori per proteggersi da mosche e vespe. I Greci adoravano Apollo Sminteo (distruttore di roditori) e Parnopio; a quest’ultimo il grande Fidia eresse, a sue spese, una statua di bronzo in ringraziamento dei miracoli compiuti contro le invasioni di locuste. Sempre in epoca greca, il dio Myagros, proteggeva dalle mosche a condizione che in suo onore fossero celebrati adeguati sacrifici. Nell’Antica Roma venivano utilizzati, a scopo difensivo, amuleti e simulacri, lignei o bronzei, degli insetti da eliminare. Plinio il vecchio, nel 79 d.C., sostiene l’utilità di esporre, nelle zone infestate, animali uccisi e infilzati in stecche in modo da ammonire i consimili. Virgilio, con tale metodo, ritiene di aver messo in fuga gli sciami di cavallette che avevano invaso i suoi possedimenti in Campania. Columella (I sec d.C.) suggeriva di lottare il Sigaraio della vite bagnando con sangue di orso gli arnesi utilizzati per la potatura; l’Autore sconsigliava la presenza delle donne negli orti di zucche e cocomeri, colture che avrebbero potuto subire danni dal solo sguardo femminile. Nel IV secolo Palladio (Rutilius Taurus Aemilianus Palladius) nel trattato Opus agriculturae o De re rustica, in quindici libri, descrive una pratica “fitosanitaria” preventiva consistente nella raccolta di bruchi da un orto vicino, nella loro cottura e distribuzione nel proprio orto a scopo ammonitorio per gli altri bruchi. Se l’infestazione era in atto si doveva far correre a piedi nudi nell’orto una donna dalla chioma fluente; l’efficacia del metodo, che provocava l’allontanamento degli insetti nocivi, dipendeva dalla verginità della donna. Recentemente un tale, al quale uno studente ha riferito questo aneddoto, desiderava sapere, in via confidenziale, quale era l’insetto che era in grado di riconoscere la verginità della donna .