E’ stato da poco pubblicato uno studio internazionale, ripreso da Nature con un articolo dal titolo “Come la Xylella è arrivata in Puglia”, che riporta evidenze significativamente più solide di quelle note fino ad ora sull’origine dell’epidemia che il batterio Xylella fastidiosa sta causando in Puglia, dove il patogeno si è adattato ed ha già sterminato milioni di ulivi. Intervistiamo il dott. Donato Boscia, accademico dei Georgofili, uno degli autori di questo studio.
Dottor Boscia, lei è un ricercatore del Cnr-Ipsp di Bari e studia da anni il fenomeno della Xylella. Ci può intanto ricordare da quanto tempo questo batterio esiste in Italia, come si è diffuso anche in Europa e come danneggia gli olivi?
Il batterio è stato identificato, per la prima volta, nell’ottobre del 2013, quando analisi molecolari eseguite nei nostri laboratori su piante sintomatiche di olivo, ma anche di mandorlo ed oleandro prelevati nei pressi di Gallipoli, in provincia di Lecce, rivelarono la presenza di infezioni di Xylella fastidiosa. In realtà, come emerso dallo studio da poco pubblicato, la prima introduzione del batterio era avvenuta già qualche anno prima, probabilmente nel 2008, e per tale ragione nel 2013 aveva già invaso una porzione significativa di territorio, circa 8.000 ettari in base alle stime dell’epoca del servizio fitosanitario.
Come si è diffuso anche in Europa?
Dopo il ritrovamento in Puglia il batterio è stato ritrovato anche in altre aree dell’Unione Europea (Francia, Spagna, Portogallo, Toscana e, pochi mesi fa, Lazio), ma si tratta quasi sempre di ceppi di sottospecie diverse dalla sottospecie pauca a cui appartiene il genotipo ST53 presente in Puglia. In realtà la presenza del batterio in Europa risale a ben prima della sua scoperta in Salento. Oggi infatti sappiamo che Xylella era presente in Francia e Spagna già da qualche decennio, e che anche in questi Paesi si è trattato di introduzioni dal continente americano, ma nella forma di ceppi batterici diversi e a più contenuta patogenicità sulle piante ospiti rispetto al ceppo pugliese. In questi Paesi la scoperta del batterio è avvenuta solo a seguito delle campagne di monitoraggio che la Commissione Europea ha reso obbligatorie in tutti gli Stati membri a seguito dell’allarme provocato dall’epidemia pugliese.
Come danneggia gli olivi?
Xylella fastidiosa è un batterio che colonizza esclusivamente i vasi che trasportano la linfa grezza, lo xilema da cui deriva il nome del genere, Xylella. In esso il batterio si moltiplica e forma degli aggregati che bloccano il flusso ascendente dell’acqua, con conseguente disseccamento dei rami che da essi dovrebbero essere alimentati.
Come è proceduta la ricerca scientifica negli ultimi anni per tentare di arginare il “killer degli olivi”?
In prima battuta è stato necessario capire con cosa avessimo a che fare, quindi è stata effettuata la caratterizzazione genetica e biologica del batterio, identificate le specie vegetali ad esso suscettibili e l’insetto vettore. In seconda battuta è stata avviata la ricerca di germoplasma di olivo resistente o tollerante, di metodi di contenimento del vettore e di potenziali cure per il contenimento del batterio.
E’ vero che il nome fastidiosa deriva dalla difficoltà di coltivare la Xylella in laboratorio?
Sì, la ragione è proprio questa; il suo isolamento in coltura è difficoltoso e, quando ha successo, la sua crescita è particolarmente lenta; basti pensare che occorrono una ventina di giorni prima che una colonia diventi chiaramente visibile ad occhio nudo.
Quali altri Paesi hanno collaborato allo studio pubblicato e che cosa ha dimostrato? Attraverso quali passaggi chiave avete scoperto l’origine dell’epidemia che ha sterminato milioni di olivi?
E’ il frutto di una collaborazione con colleghi delle università della California e di Montpellier (Francia). Sono studi che si basano sull’analisi del genoma del batterio, ed in particolare grazie all’isolamento in coltura da olivi malati di una settantina di isolati di Xylella, sì è potuto sviluppare un programma di sequenziamento che ha generato una massa cospicua di dati di genomica, sufficiente per l’applicazione di particolari analisi bioinformatiche che sulla base dell’analisi della variabilità genetica della popolazione del batterio presente in Salento hanno permesso di determinarne le correlazioni con la popolazione di Xylella caratterizzata in Costa Rica e di stimare l’anno di introduzione.
Aver finalmente scoperto che la Xylella è arrivata in Italia nel 2008 da una pianta di caffè importata dal Costa Rica, come potrà aiutarci nello sconfiggere il problema?
Oltre che in Puglia, il genotipo ST53 della sottospecie pauca è stato sinora caratterizzato solo in Costa Rica; tuttavia tra i genomi costaricani e italiani si rilevano differenze, come la presenza di geni assenti nei genomi costaricani e quindi potenzialmente correlati all'adattamento del batterio a un nuovo ospite, quale è l’olivo. Ciò potrebbe rappresentare la base per studi di genomica funzionale, per esempio attraverso mutagenesi, per identificare i geni chiave responsabili della sua elevata patogenicità, al fine di disarmarlo. Per far ciò avremmo bisogno di strutture di contenimento adeguate che, però, al momento, non ci sono.
Link alla ricerca: https://www.microbiologyresearch.org/content/journal/mgen/10.1099/mgen.0.000735