Dottor Marchionne, Lei ha alle spalle molti anni di esperienza nella conduzione di aziende molto importanti, quali pensa possano essere le mosse strategiche prioritarie per rilanciare l’agricoltura, in particolare quella toscana, dopo la crisi della pandemia?
La pandemia ha avuto un effetto dirompente su molti ambiti, non solo sanitario e di sicurezza pubblica, ma ha costretto aziende cittadini e istituzioni a interrogarsi anche sul tipo di sviluppo economico e sociale del pianeta. In mezzo a una situazione drammatica, volendo guardare al futuro, questi due lunghi anni verranno ricordati anche come acceleratori di sviluppo di concetti chiave: interdipendenza, sostenibilità e mobilità, riportando l’agricoltura al centro dello sviluppo dopo averla sempre considerata la cenerentola o settore meno avanzato rispetto all’industria e ai servizi.
La Toscana può avere un ruolo fondamentale nello sviluppo moderno dell’agricoltura italiana se riesce a valorizzare i propri assets già esistenti quali la varietà e qualità colturale, la coesistenza di aziende moderne e piccole realtà di nicchia in settori sia di alto che di basso valore aggiunto e la presenza di importanti università e istituzioni pubbliche che abbiano la capacità di dialogare tutte tra loro. Ha tutta le potenzialità per diventare un modello da seguire su base nazionale ma occorre una pianificazione strategica per ogni filiera agricola. C’è invece l’abitudine di affrontare il singolo problema day by day del trovare la soluzione o il singolo finanziamento per la singola crisi senza curarne la causa in maniera strutturale.
L’errore che si fa spesso è considerare l’agricoltura come un tutt'uno quando le problematiche, a seconda delle filiere, sono totalmente diverse e da approfondire singolarmente valutando sempre i trade-off e cercando di pianificare di più. Tanto più che le filiere “agricole” negli ultimi 30 anni sono aumentate e sono sempre più complesse da gestire (vedi ad esempio il mondo delle energie rinnovabili e la bioeconomia).
Per ultimo, ma fondamentale, occorre creare un piano di formazione per gli agricoltori e le aziende agricole per lo sviluppo dell’agricoltura di precisione e per tutte le moderne applicazioni il cui suo vero obiettivo non è quello di produrre meno ma con più qualità, come a volte sento purtroppo dire, ma produrre di più, con più qualità e sprecando meno risorse.
Ripeto, la Toscana può diventare un laboratorio virtuoso, di convivenza e sviluppo tra filiere agricole complementari e applicazione di tecnologie nuove in agricoltura.
Recentemente l’agricoltura, appena in ripresa dopo il Covid-19, ha subito un altro importante contraccolpo a causa della guerra in Ucraina. E’ emersa infatti la fragilità e soprattutto l’inadeguatezza di un settore in cui sono stati privilegiati aspetti diversi a discapito della produzione. Secondo Lei, occorrono manovre correttive sulla PAC, pur senza sacrificare la sostenibilità ambientale, ci sono ancora margini di recupero e quali sono i tempi?
Partiamo da alcuni dati purtroppo legati alla strettissima attualità: già da Maggio 2020 c’è stato un aumento complessivo dei costi dei prodotti agricoli del 54%, con i prezzi ai massimi livelli per il gas naturale e i fertilizzanti. Aumenti a doppia cifra anche per mangimi, energia elettrica e carburanti.
L’Italia importa dall’Ucraina il 5% del grano tenero, il 15% di mais, il 40% di olio di semi.
In questo contesto e con l’incertezza più totale sui possibili scenari geopolitici ci si interroga su cosa fare per essere un paese più indipendente dal punto di vista energetico ed alimentare mettendo anche in discussione a questo punto l’architettura appena costruita con il Green Deal di cui la nuova Pac ne rappresenta in parte lo spirito.
Io sono dell’opinione che la crescita della produzione e della competitività delle imprese possono e devono coesistere con una maggiore sostenibilità. Occorre fare affidamento sulla ricerca scientifica e sulle innovazioni tecnologiche applicate in campo, ai mezzi tecnologici… e alla formazione degli agricoltori.
Per quanto riguarda la Pac ci sono alcune cose da modificare in materia di condizionalità e inverdimento e limiti alla produzione di energie rinnovabili da rivedere (capping alla potenza erogabile dagli impianti a biogas aziendali, ad esempio).
Nel breve termine sospendere in via eccezionale per la campagna 2022 gli obblighi di inverdimento, obbligo della rotazione delle colture, il divieto di conversione di prati-pascoli in seminativi, l’accantonamento a fini non produttivi del 5% dei seminativi.
Nel medio termine rinviare al 2023 la riforma previste alla luce del mutamento del contesto e delle condizioni di mercato rivedendo gli obiettivi legati al Green Deal in termini di limiti di produzione agricola nonché allo sviluppo delle energie rinnovabili, sottolineando che la sostenibilità non è solo ambientale ma anche sociale ed economica.
Il suo know-how internazionale le darà un aiuto nel ruolo di Direttore Generale di Confagricoltura Toscana e in che modo? Come AD di Genagricola è inoltre abituato ad una dimensione imprenditoriale ben diversa da quella prevalente in Italia e in Toscana: quali elementi della sua esperienza potranno essere mutuati per la crescita delle piccole aziende agricole?
Come associato di Confagricoltura, prima con Agricola San Felice e poi con Genagricola, ho un punto di vista interessante in quanto fruitore dei servizi di Confagricoltura negli ultimi 15 anni in varie regioni italiane. L’esperienza fatta nella gestione di importanti aziende alimentari, vitivinicole e agricole mi permette di avere una visione completa della filiera. Penso che sia l’associato agricolo il centro di gravità di tutte le attività di Confagricoltura e aver con lui rapporti costanti è fondamentale per conoscerne bisogni da esaudire e problematiche da risolvere.
In un contesto sempre più complesso e interdipendente le singole aziende agricole hanno un reale bisogno di ricevere servizi sia operativi, sia strategici da parte della Confederazione per aprirsi al cambiamento, ma anche per facilitare la gestione quotidiana della propria attività. E questo vale sia per le grandi aziende che per quelle piccole.
La capillarità organizzativa di Confagricoltura a livello nazionale, regionale e provinciale è un fattore strategico di successo per rapportarsi quotidianamente con i propri associati e sviluppare progetti molto operativi creati per le loro esigenze. Quello che bisogna migliorare è la capacità di comunicazione che in questo primo mese di esperienza da direttore generale di Confagricoltura Toscana, vedo essere ancora orientato a informare sui provvedimenti e finanziamenti regionali in maniera burocratica. Mancano le indicazioni operative per l’accesso alle agevolazioni. Occorre semplificare la comunicazione con chiari inviti all’azione. Una delle ragioni per cui l’Italia non sfrutta adeguatamente i finanziamenti europei sta proprio nel non mettersi nei panni del piccolo agricoltore che riceve certe comunicazioni dalla Regione e dalle organizzazioni confederali e, considerandole complesse, rinuncia alla partecipazione dei bandi. Uno dei miei obiettivi sarà proprio quello, in accordo con la Regione, di trovare nuove modalità di comunicazione per mettere a terra i provvedimenti e permettere all’agricoltore di sfruttarli efficacemente.
La modernizzazione delle aziende agricole (indipendentemente dalle loro dimensioni e dalle specializzazioni colturali) richiede una costante partnership con le organizzazioni confederali che devono offrire servizi mirati per filiera e tipologia di azienda agricola.
Ricerca e sviluppo. Sappiamo che il ruolo della tecnologia è fondamentale in agricoltura, ma quali sono secondo lei i settori in cui al momento è prioritario investire?
Da quanto ho fin qui espresso ritengo che il piano di sviluppo per l’agricoltura toscana debba tener conto in primis delle peculiarità territoriali e colturali delle singole zone: ogni filiera ha delle sue specificità di gestione, basti pensare alla differenza che corre tra gestione di superfici boschive, allevamenti e viticoltura… Dal punto di vista della produzione ribadisco che gli investimenti strategici vadano fatti nella direzione della modernizzazione dell’ agricoltura: agricoltura di precisione, bioeconomia, energie rinnovabili e connessione banda larga di zone rurali. Ma bisogna anche pensare, non solo alla produzione ma anche alla gestione del prezzo dei prodotti agricoli e alla domanda del mercato. E su questo aspetto occorre stare molto attenti: alcune filiere come il latte e alcune commodities agricole per sopravvivere hanno bisogno di una giusta remunerazione dei propri prodotti e un giusto riconoscimento degli investimenti che stanno facendo. Su alcuni prodotti occorre trovare un giusto posizionamento di prezzo enfatizzando la qualità e tipicità della produzione toscana o della singola zona facendo accordi di filiera anche con la distribuzione.
In foto: Alessandro Marchionne, a dx, riceve il diploma di Accademico dal Presidente dei Georgofili Massimo Vincenzini