I principi teorici dell'eco-sostenibilità sono messi continuamente in discussione da parte di esperti veri o improvvisati. Bisogna ottemperare alle richieste che vengono dall’Ue, dai Ministeri coinvolti, dalle Regioni. Una serie di interventi, per lo più indeterminati, è prevista dal piano europeo Pnrr (“Next Generation”); c’è anche la necessità di adeguare i disciplinari delle varie produzioni, integrata, biologica e convenzionale.
Dunque, non sarà facile, per le imprese, sapersi districare in una situazione complessa e critica come quella attuale, nemmeno per la ricerca pubblica, dovendo dare motivate indicazioni sul “da farsi” in campo, per corrispondere correttamente ai presupposti dell’agro-eco-sostenibilità. Bisogna anche premettere che questa parola è oggi largamente abusata dai mezzi di comunicazione. Infatti, molti spot pubblicitari e le strategie dei programmi di creazione di mezzi tecnici, servizi e beni di consumo si avvalgono della caratteristica dicitura di sostenibilità di processo, una forma di autoreferenzialità, magari con certificazione di garanzia, che vale quel che vale. Per la verità, mancano, in genere, condivisi e riconosciuti, i relativi parametri tecnici, quali, ad esempio, la quantità di CO2 emessa per il ciclo produttivo, l’input energetico o calorico assorbito, l’entità dei possibili effetti nocivi dovuti ad inquinamento o sprechi, il bilancio complessivo del rapporto costi/benefici fra i vari metodi a confronto, ecc.
Occorre affrontare uno dei problemi di maggiore impatto per la frutticoltura riguardante la fertilizzazione del suolo, con il supporto di uno studio approfondito sulle conoscenze fisiologiche e biochimiche dei rapporti fra N, biosfera e pianta: dall’assorbimento radicale al trasporto, al metabolismo e alla conversione dell’azoto da una forma ionica all’altra e, ovviamente, agli effetti sulla produttività degli alberi e sulla qualità dei frutti. Una sperimentazione svolta all’Università di Bologna e in centri di ricerca internazionali ha fatto emergere, nel confronto tra composti organici e minerali, maggiori benefici derivanti da concimazioni organiche rispetto a quelle minerali, almeno con riferimento al lungo periodo corrispondente alla durata del frutteto; benefici espressi, in particolare, da una migliore efficienza metabolica delle varie forme di azoto, da un maggiore sequestro di carbonio e, in definitiva, da una più rispondente eco-sostenibilità.
Continuano, a questo proposito, le diatribe sulla preferenza o, se vogliamo, sul primato delle coltivazioni integrate o biologiche oppure sulla valenza ecologica e la sostenibilità dell’una e dell’altra: la prima, che fronteggia e sostiene la stragrande maggioranza dei consumi alimentari (specialmente l’ortofrutta ) e la seconda che, pur conquistando crescenti fette di mercato, non sembra offrire la prospettiva di una futura prevalenza, nonostante gli incentivi economici e la possibilità di compensare i maggiori costi di produzione con più alti prezzi di mercato.
Anche il recente scontro che ha coinvolto i politici e i decisori pubblici sulla validità della produzione biologica e su quella biodinamica si è rivelato soltanto un espediente retorico, inconsistente, perché il biodinamico (almeno quello praticato per l’ortofruttiviticoltura) altro non è che un segmento di biologico in quanto ne rispetta alcune indicazioni sulla gestione del suolo, la fertilizzazione e altre pratiche agronomiche, codificate e riconosciute dalle normative europee. Tale forzatura commerciale sui prodotti ottenuti seguendo i disciplinari del biologico non dovrebbe ammettere la diversa etichettatura del prodotto biodinamico. Il consumatore, infatti, in genere ne ignora la reale infondatezza ancorché disposto ad acquistarlo a prezzi superiori a quelli dello stesso biologico. Si tratta dunque di una pura operazione commerciale per lucrare sull’attrattività di una definizione.
Ci sono vari altri problemi di rilevanza pratica e gestionale, le cui soluzioni dipendono dalle prerogative e dagli interventi degli organismi istituzionali, dalla stampa, e dai vari media che troppo spesso informano in modo approssimativo, discutibile e somigliante alla disinformazione. Inoltre, rimangono sempre meno spazi per una corretta analisi dei fatti e delle criticità, se comunicate nella loro reale dimensione dai quali trarre i suggerimenti necessari per il loro superamento. In tal modo si creano le premesse, nell’opinione pubblica, per una distorta conoscenza dei problemi, apparendo perciò come possibili “fake news”, con conseguenti danni a tutto il sistema, che invece dovrebbe convergere verso la sostenibilità e non la diffidenza, l’isteria, la paura, il diniego ideologico.
Un’altra spiacevole conseguenza è rappresentata dalla cattiva luce con cui viene talvolta rappresentato il principale ruolo dell’agricoltura, specialmente dell’ortofrutticoltura, che è quello di produrre e rifornire i mercati di prodotti di qualità garantita e concorrenziale rispetto alla pletora di prodotti stranieri che, sempre più frequentemente, invadono i mercati senza possedere requisiti di salubrità e genuinità comparabili a quelli italiani.