È questione perennemente attuale quanto il settore primario possa integrarsi in modo moderno nel PIL nazionale e comunitario, e come possa così intercettare intelligenze, competenze e risorse umane che ci lavorino.
Il quadro macro di riferimento, per quanto complesso, articolato e non univoco, è perlomeno disponibile ed è dato, insieme ad altri robusti documenti, dal 6° Censimento Nazionale dell’Agricoltura relativo al 2010: le tendenze di lungo periodo evidenziate dal Censimento per l’ultimo decennio costituiscono infatti la base oggettiva le cui attendibilità ed utilità non possono essere disconosciute o trascurate, e tantomeno si esauriscono il giorno dopo la presentazione ufficiale.
All’inizio del nuovo periodo di Programmazione 2014-2020 della Politica Agricola Comunitaria, foriera di grandi disponibilità finanziarie ma anche di input ostici e di problematica applicazione quali i Regolamenti Comunitari relativi, serve avere un criterio-guida che coordini gli sforzi evitandone la dispersione e lo spreco. In altre parole serve un’iniezione di vision agroalimentare che al di là dei tanti proclami dei decenni scorsi dia concretamente ruolo e prospettiva al settore.
Perché il settore agricolo possa contribuire nell’immediato futuro a rimediare alla crisi economica, la principale riflessione programmatica e pragmatica è sulle risorse umane che possono essere attratte nell’ambito, e sulle competenze lavorative con cui soddisfare i bisogni futuri.
Di recente su istanza del Dipartimento di Scienze e Produzioni Agrarie e dell’Ambiente dell’ateneo fiorentino è stata svolta un’elementare ricognizione volta a enucleare eventuali nuovi fabbisogni competenziali dei territori rurali e delle aziende agricole. Interlocutori quali società agricole, agenzie di somministrazione tempo determinato (ex- interinali), associazioni di categoria, cooperazione hanno riferito gli ambiti lavorativi per i quali avvertono bisogni attuali o insoddisfatti, suscettibili di coinvolgere a vario titolo nuove risorse umane.
Risulta esserci bisogno sia di braccia sia di cervelli. In particolare risulta che per certe figure dirigenziali ad alto contenuto professionale, quali il direttore tecnico o l’enologo, la competizione è dura ma permane una certa domanda.