Il tema dell’EXPO 2015, come è noto, riguarda il problema dell’alimentazione a livello planetario. Nutrire il pianeta è la grande sfida posta all’umanità. L’incremento delle produzioni agricole in modo sostenibile, l’accesso agli alimenti e all’acqua sono il criterio guida. Ma come ottenere un risultato efficace? Sulla necessità di intervenire positivamente sul grande tema della nutrizione non vi sono dubbi perché risponde ad un profondo sentire etico e sociale e a me pare giusto e corretto partire dall’agricoltura per sconfiggere la fame e avviare lo sviluppo. Ma quale agricoltura e dove, considerata la penuria di nuove terre coltivabili?
Per affrontare le sfide alimentari non si può prescindere dalla dimensione scientifica. Vi sono oggi strumenti operativi, tecnici e di ricerca che consentono un salto di qualità nei mezzi e nei sistemi agricoli, pur rispettando le tradizioni locali: dalla meccanizzazione all’irrigazione, all’uso equilibrato dei fertilizzanti e dei fitofarmaci, all’utilizzo di piante geneticamente modificate per gli habitat più sfavoriti. Analogamente a quanto accadde nella seconda metà del secolo scorso si possono introdurre gli elementi di una nuova rivoluzione verde per aumentare le produzioni unitarie dei terreni dell’Africa o dell’Asia con derrate sane e nutrienti per le popolazioni sottoalimentate e sostituire gradualmente gli aiuti alimentari.
Con queste affermazioni penso si debbano interpretare lo spirito di solidarietà del mondo agricolo e il nocciolo della filosofia scientifica dell’Expo confidando nella scienza non meno che nel pragmatismo, per affrontare lo stato di povertà e di sottonutrizione di alcuni popoli, senza lasciarsi incantare dalle sirene del ritorno al localismo terzomondista. Si dà il caso infatti che da alcuni profeti dell’alimentazione siano state imprudentemente interpretate le finalità dell’EXPO in chiave di regresso tecnologico, con riferimento alle “comunità del cibo”, o agli orti di casa, ai semi autoctoni, fonte e causa spesso dell’incapacità di riscatto dalla miseria. Occorre rendersi conto che è tempo di accettare con convinzione l’invito del Nobel Borlaug ad avviare la seconda “Rivoluzione Verde” per sfamare ed aiutare chi ne ha bisogno.
Vi sono tuttavia differenti cause dello stato di denutrizione nel pianeta e differenti soluzioni sia sui condizionamenti da cancellare che sui mezzi per raggiungere l’obiettivo.
Alcuni Paesi, sono usciti dallo stato di povertà, ma il progresso non ha interessato tutti i Paesi in via di sviluppo e valutare le cause delle differenze serve da guida per capire il cammino da compiere per nutrire il pianeta, come hanno recentemente affermato i proff. Lomborg e Salamini. Quale è stato il miglioramento secondo i dati delle Nazioni Unite e dove e come è avvenuto? Conoscere questi elementi serve, a mio avviso, a capire in quale direzione ci si può muovere, quale agricoltura prospettare e quali ostacoli superare.
Vi sono infatti grandi variabilità nelle diverse zone geografiche. Dove si è verificato lo sviluppo in positivo, cioè principalmente in parte dell’Asia e in parte del Sud America, si sono registrati due fattori differenti ma complementari: l’uso di nuove tecnologie in agricoltura e la presenza di favorevoli condizioni socio-politiche. Infatti la “Rivoluzione verde”, dove è avvenuta, è stata ottenuta per effetto di fattori agronomici e con riforme mirate per gli investimenti agricoli: l’eliminazione dei prezzi calmierati che scoraggiavano i produttori e il riconoscimento della proprietà, ossia un timido passaggio al libero mercato.
Con questa agricoltura si può garantire una crescita che liberi i popoli del sottosviluppo, dalla fame, dalla miseria e dalle malattie.