La birra è la bevanda alcolica maggiormente consumata a livello globale (circa 1,91 miliardi di hL nel 2019), con un mercato globale pari a 623,2 miliardi di $ USA nel 2020. In Italia la produzione complessiva di birra è stata di circa 15,8 milioni di hL nel 2020, di cui circa il 71% prodotta da soli cinque grandi player, come Heineken Italia, Birra Peroni, Anheuser-Busch InBev, Birra Castello e Carlsberg Italia. Nel 2020, 756 birrifici artigianali hanno prodotto 361.000 hL di birra, ossia il 3,1% della produzione di birra italiana. La birra lager è la tipologia di birra più diffusa, rappresentando l'84,2% del consumo complessivo di birra, seguita dalle birre speciali (14,5%) e da quelle a bassa o analcolica (1,3%). Il formato di confezionamento della birra è dominato dalle bottiglie di vetro (80,8%), seguito dai fusti in acciaio (11,7%) e infine dalle lattine di alluminio (7,5%). La maggior parte dei consumatori acquista birra in bottiglie di vetro (di cui il 73,0% a perdere ed il 7,8% a rendere) o lattine di Al, mentre la birra confezionata in fusti d'acciaio è principalmente per uso commerciale.
Il settore birrario ha da anni iniziato non solo a ridurre il proprio impatto sul clima globale, ma anche a ripensare i propri modelli di produzione e distribuzione secondo il principio dell'economia circolare. Negli ultimi due decenni, diversi studi business-to-business o business-to-consumer sono stati effettuati per valutare l'impatto ambientale della birra confezionata in diversi formati, come riassunto da Cimini e Moresi (2018). La produzione di bottiglie di vetro o lattine di alluminio e la coltivazione dell'orzo rappresentano i principali punti caldi del ciclo di vita della birra (Cimini e Moresi, 2016). Quando si utilizzano fusti in acciaio riutilizzabili, la produzione di orzo costituisce la fase più impattante, seguita dalla produzione e dalla distribuzione.
Questa rassegna ha mirato a verificare ulteriormente l’applicabilità dei concetti dell’economia circolare alla filiera della birra.
Analizzando il processo di produzione della birra (scarica Fig. 1.jpg), si sono identificati i principali sottoprodotti ed i consumi dei materiali di imballaggio utilizzati.
Nei birrifici europei il consumo di malto d’orzo varia dai 15 ai 18 kg per hL di birra prodotta, mentre nei birrifici industriali italiani un hL di birra richiede circa 12 kg di malto e 4 kg di cereali non maltati, come la semola di mais. Si riportano i principali sottoprodotti indicandone l’intervallo di umidità e di resa ponderale:
Parametro Radichette di Malto Trebbie esauste Hot Trub Lievito esausto
Umidità (g/100 g) 8.2-12.9 75-90 80-90 74-86
Resa 0.03-0.05 * 14-19 # 0.2-0.4 # 2-4 #
*kg kg-1 malto; # kg/hL birra
I consumi di imballaggi per confezionare 1 hL di birra (in kg/hL) in differenti formati, quali la bottiglia di vetro (GB) o di polietilene tereftalato (PET) da 66 cL, la lattina di alluminio (AC) da 33 cL ed il fusto di acciaio (SSK) da 30 L, sono di seguito specificati: 2-3
Imballaggi \ Formato GB PET AC SSK
Vetro 43.9 0.0 0.0 0.0
Carta e Cartoni 3.0 3.0 1.2 0.0
Plastica 0.1 4.4 0.3 0.0
Acciaio 0.3 0.0 0.0 32.0
Alluminio 0.0 0.0 4.9 0.0
Legno 2.8 3.0 1.9 2.5
Collanti 0.2 0.2 0.2 0.0
Totale 50.3 10.6 8.5 34.5
I riutilizzi reali ed efficaci degli imballaggi e dei rifiuti biotici sono stati esaminati in modo critico in base alla loro fattibilità tecnico-economica.
Per ridurre il contributo dei materiali di imballaggio all’impronta di carbonio della birra, sarebbe necessario sostituire i contenitori monouso attualmente in uso con altri più leggeri, riutilizzabili o riciclabili. Anche tenendo conto del contributo della fase di consumo della birra, non è stato possibile indicare in maniera univoca il formato di confezionamento meno impattante per l’ambiente. La gestione diretta degli imballaggi in PET per alimenti liquidi potrebbe rendere disponibili scaglie di PET riciclato al 100% per riconvertirle in bottiglie per uso alimentare con un minimo declassamento per altri usi non alimentari.
Gli innumerevoli usi potenziali degli scarti dei birrifici in campo nutrizionale e biotecnologico, proposti in letteratura, sono stati classificati in base alla gerarchia di cui all’art. 4 della nuova disciplina sui rifiuti (DIRETTIVA 2008/98/CE):
Scarica Fig. 2: Waste hierarchi dei sottoprodotti del processo di birrificazione.jpg
Si è rilevato che detti usi sono stati, nella maggior parte dei casi, esaminati in scala di laboratorio ignorando qualsiasi analisi costi/benefici o di mercato. Poiché il prezzo di mercato stimato delle trebbie di birra essiccate è di circa il 450% superiore a quello dei residui lignocellulosici convenzionali, quasi tutti gli usi alternativi acclamati in letteratura appaiono più utili per la pubblicazione di articoli che per definire processi di riutilizzo dei sottoprodotti di birrificazione economicamente fattibili. A causa del loro elevato contenuto di umidità, tali sottoprodotti sono altamente deperibili, il che impedisce il loro impiego igienico-sanitario nella catena alimentare umana. Attualmente, il loro utilizzo in mangimistica non è solo economicamente fattibile, ma è anche in grado di ridurre le emissioni di gas serra associate alla birra confezionata in bottiglie di vetro per almeno un terzo delle emissioni derivanti dalla produzione degli imballaggi stessi. Non a caso, questo utilizzo è adottato dalla maggior parte dei birrifici industriali e artigianali.
Approfondimenti:
1) Cimini A, Moresi M (2021) Circular economy in the brewing chain. Italian Journal of Food Science, 2021; 33 (3): 47–69
2) Cimini A, Moresi M (2016) Carbon footprint of a pale lager packed in different formats: assessment and sensitivity analysis based on transparent data. Journal of Cleaner Production 112: 4196-4213.
3) Cimini A, Moresi M (2017) Effect of brewery size on the main process parameters and cradle-to- grave carbon footprint of lager beer. Journal of Industrial Ecology, 22 (5), 1139- 1155.