Professore, per il 2021 si parla di un forte crollo della produzione per quanto riguarda le castagne dell'Appennino tosco-emiliano: è così? Quali sono le cause?
Sì è così. La produzione di Marroni e Castagne nell’Appennino tosco-emiliano e romagnolo è calata anche in modo preoccupante un po’ ovunque nella campagna di raccolta del 2021 rispetto al 2020. Mediamente viene attribuito un crollo produttivo del 40% e questa grave perdita incide fortemente sulle economie di quelle aziende agroforestali del nostro Appennino che per buona parte basano i loro margini sul Castagno.
Le aziende che hanno curato meglio e con più attenzioni i loro castagneti hanno subito minori danni produttivi. Ecco perché alcune zone registrano migliori produzioni quali-quantitative un po’ tutti gli anni. Ad esempio nell’Alto Mugello, la produzione è stata molto altalenante: buona e anche molto buona nei castagneti di Marradi, discreta o buona in quelli di Palazzuolo sul Senio, molto disforme e a volte alquanto scarsa nei castagneti tradizionali di Firenzuola.
Le cause sono molteplici e certamente il cambiamento climatico incide in misura preponderante sul fenomeno produttivo, essenzialmente la siccità estiva.
Dal momento che i cambiamenti climatici sono un dato di fatto, come si può contrastare una siccità prolungata come quella dell'estate scorsa?
Non è assolutamente facile contrastare i cambiamenti climatici di prolungata siccità estiva in castagneti tradizionali plurisecolari situati in alta collina e montagna, perlopiù in terreni scoscesi e con poco strato attivo di suolo. Certamente disporre di acqua per l’irrigazione sarebbe la soluzione risolutiva, ma quasi mai si dispone di questo bene insostituibile in quelle zone.
Quindi ci si affida e si spera nelle piogge nei tempi opportuni. Forse in alcune valli o vallecole si potrebbero realizzare invasi per immagazzinare l’acqua da ruscelli attivi nei periodi di stagioni piovose, ma per i castagneti in altura e scoscesi la vedo molto dura e spesso irrealizzabile per ovvie ragioni di ordine economico. Allora dobbiamo affidarci all’abilità dei nostri castanicoltori nel praticare le dovute cure colturali ai loro castagneti recuperati o mai abbandonati. E quando dico “cure colturali” intendo una razionale potatura a turni molto brevi se non annuali, contenimento della chioma in altezza, somministrazione di concimi organici almeno ogni due anni, sfalci ripetuti dell’erba per limitare la competizione idrica dell’acqua incamerata nel sottosuolo.
Oltre ai cambiamenti climatici ci sono altri nemici del castagno? Come si combattono?
Oltre alle avversità abiotiche, dovute essenzialmente ai cambiamenti climatici, il castagno da sempre è soggetto ad avversità biotiche causate da funghi e insetti, che danneggiano sia la pianta che il frutto. Tra i nemici della pianta primeggiano il “cancro corticale” (Cryphonectria parasitica) e il “Mal dell’inchiostro” (Phytophthora spp.).
Il primo era una vera calamità che veniva fronteggiato con una razionale potatura di risanamento, asportando le parti infette e distruggendole con il fuoco. Oggi la pianta ha raggiunto un equilibrio biologico con il patogeno, generando infezioni ipovirulente che sono tollerate e quindi non rappresenta più sintomi di gravità. Il mal dell’inchiostro invece è ancora oggi il patogeno più pericolo del castagno perché in poco tempo può portare a morte intere piante e anche tutto il castagneto. La causa è un fungo presente nel sottosuolo e circola attraverso l’umidità presente nel terreno dove attacca tutto l’apparato radicale del castagno che può anche morire. Le cure consigliate sono perlopiù di natura agronomica e consistono nella regimazione delle acque, sia piovane che sorgive e nella somministrazione di concimi organici soprattutto pollina. Fino a qualche anno fa il castagno era colpito dal cinipide galligeno o vespa cinese (Dryocosmus kuriphilus); insetto che attraverso la formazione di numerose galle infestava la giovane vegetazione della pianta, riducendone fortemente lo sviluppo e la produttività fino ad azzerarla. La lotta è stata molto efficace, costituita nella diffusione su tutto il territorio castanicolo italiano, di ripetuti lanci dell’antagonista (predatore specifico) Torymus sinensis. Oggi il cinipide galligeno è entrato in equilibrio biologico dell’eco-sistema castagneto, salvo rispettare le norme che mantengono presente il predatore nel citato equilibrio.
Molto interesse rivestono i danni provocati ai frutti da insetti tra cui emergono le cidie. Delle tre forme: Pammene fasciana (precoce-giugno), Cydia fagigladana (intermedia-luglio), Cydia splendana (tardiva-agosto), le ultime due sono le più pericolose perché da sole possono danneggiare il frutto anche in ragione del 30-40% di bacato. I rimedi possibili sono la distruzione dei frutti bacati che contengono le larve, attraverso il sotterramento in profondità e abbruciamento. Oggi si sta studiando e in parte già applicando la diffusione nei castagneti di specifici feromoni che generano confusione sessuale nei maschi delle cidie al tempo del loro sfarfallamento, impedendone l’accoppiamento. Il problema grosso è dato dalla elevata mole dei castagni che rende difficile e pericolosa l’applicazione dei dispensatori di feromoni nelle chiome. Tra le malattie da patogeni ai frutti oggi riveste interesse lo Gnomoniopsis castaneae che provoca danni alla polpa assumendo colore brunastro e sapore acre. Risulta asintomatico e quindi non visibile dall’esterno. Allo stato attuale non sono conosciute cure concrete se non quella preventiva di non lasciare a terra i frutti troppo a lungo prima della raccolta e conservarli in luogo appropriato prima del loro consumo.
Com'è la situazione della filiera castanicola oggi in Italia? Come si è evoluta negli ultimi cinquanta anni? Siamo autosufficienti?
La castanicoltura italiana manifesta da molto tempo una crescente sofferenza, che si traduce in produzioni costantemente in calo. Da grande esportatore di castagne e marroni freschi, il nostro Paese è diventato il più grande importatore. E pensare che solo un secolo fa, o poco più, l’Italia era ancora il Paese massimo produttore di castagne e marroni al mondo e la Toscana prima in assoluto! Il massale esodo dalle montagne e colline da parte dell’uomo ha portato all’abbandono anche di tanti, tantissimi castagneti e tutto il loro patrimonio genetico. Un danno incalcolabile sotto tanti punti di vista.
I castagneti recuperati dopo il lungo abbandono e i pochi mai abbandonati non riescono neanche a produrre quanto richiesto dal consumo interno. Pertanto la filiera è fortemente manchevole di materia prima. Ma vi sono da annoverare altre problematiche non assolutamente secondarie tra cui: la frammentazione dei castagneti, la loro avanzata età plurisecolare, la presenza di sole persone anziane che li accudiscano, la limitata professionalità e imprenditorialità degli addetti, e ancora! Quando le nostre colline e medie montagne brulicavano di esseri umani e animali domestici il castagneto era tenuto in grande considerazione, un po’ come i campi di grano in pianura e per questo il castagno veniva chiamato “Albero del Pane”. Allora bastavano quelle conoscenze. Oggi non è più così. Il castagneto deve essere accudito in modo più razionale sia esso tradizionale che realizzato in chiave moderna. Necessita dotare i castanicoltori di conoscenze tecniche appropriate. E allora dobbiamo operare nella formazione di nuove generazioni di giovani castanicoltori specializzati, come è stato fatto e si fa tutt’ora per le altre specie della nostra frutticoltura intensiva e industriale. Questo dobbiamo riuscire a realizzare se vogliamo riportare la nostra castanicoltura ad essere di nuovo competitiva con il resto del mondo.