La ripresa è appena iniziata e muove i primi passi, ma il suo futuro rimane imperscrutabile, gravato da una pesante ipoteca: l’imprevedibilità della crisi sanitaria. Mentre la quarta ondata colpisce il mondo, in particolare le economie avanzate che trainano la ripresa, appare una nuova temibile variante sconosciuta e non sarà l’ultima.
Intanto si fa strada la certezza che la ripresa non avrà un andamento lineare e progressivo, ma dovrà fare i conti con una serie di fenomeni che, forse con un eccesso di ottimismo, si riteneva potessero trovare composizione man mano che l’economia cresceva. In particolare si scontra con: a) l’impatto dei danni inferti al sistema economico durante i mesi della pandemia; b) l’inflazione in agguato che con la ripresa acquista vigore.
I danni derivano dalle discontinuità nelle catene di fornitura, dalle cadute produttive, dagli stridenti contrasti in atto fra i protagonisti. L’inflazione torna a farsi sentire sull’onda di timori mai sopiti. L’incremento dei prezzi, a partire dalle materie prime necessarie per la ripresa, si estende a macchia d’olio. È una delle conseguenze della ripresa, ma non l’unica.
Le discontinuità produttive sono i colli di bottiglia, le rotture, le carenze, i vuoti provocati nei sistemi produttivi dalla pandemia e dalla lotta per domarla. Gli esempi non mancano. Il primo fu la carenza di manodopera in agricoltura già nei primi mesi. I lavoratori stranieri rientrati nei loro Paesi per sfuggire alla malattia non tornavano: per paura o per i vincoli di prevenzione del contagio o perché i lockdown non ne richiedevano la presenza. Poi vennero i blocchi nella logistica con i trasporti di merci e persone fermi a causa della crisi. Mezzi terrestri, aerei, e soprattutto navali, fermi senza speranza. Mancanza di forniture di materie prime e semilavorati a causa dei lockdown o per il crollo della domanda e quindi né produzione né lavorazione. Interi comparti dei servizi “in persona”, come didattica, turismo e alimentazione, senza orizzonti di ripresa. L’indotto di altri servizi falcidiato dal ricorso ad un improvvisato smart working “de noantri” che si traduceva nel restare a casa senza regole e obiettivi produttivi.
Dopo la recessione, la ripresa scatena l’inflazione in conseguenza dell’aumento dei prezzi su mercati improvvisamente travolti da una domanda superiore all’offerta superstite e da scompensi offerta/domanda smossi dalla repentina ripartenza. È il caso dei prodotti energetici: la domanda si scontra con la poca disponibilità di prodotto a causa dei tagli apportati alla produzione, con la difficoltà e i tempi per riprendere estrazioni e lavorazioni, con i costi dei trasporti. I conflitti commerciali per il gas aprono squilibri imprevisti con conseguenze sul pezzo dei fertilizzanti. Ritorna il carbone.
Per i prodotti agricoli/alimentari, pilastro della resistenza nella pandemia, i prezzi hanno incrementi molto elevati per i cereali, in particolare per il frumento col duro fino a 550 €/t. - ora fermo da un mese a 500 €/t. - e alcuni oli, soia e palma, alle stelle. Tecnicamente non vi è carenza di offerta, si rimane nelle tipiche oscillazioni bilanciate dalle differenze fra i due emisferi con adattamenti ogni sei mesi. I livelli dei prezzi sono elevati rispetto agli ultimi anni di costante calo, ma in genere inferiori ai massimi del decennio. La domanda è in espansione, ma non tanto da compromettere il rapporto con gli stock. Diverso il caso dei prodotti zootecnici: incrementi minori dovuti all’incremento dei costi energetici e degli alimenti del bestiame.
Fra gli elementi della potenziale inflazione da costi vi sono i trasporti, in particolare via mare, a causa dei prodotti energetici e dei noli che scontano gli effetti negativi delle interruzioni: non tutto l’insieme delle navi è utilizzato perché il volume delle merci movimentate non lo giustificherebbe e ciò fa salire i costi unitari.
Gli aspetti tecnici della fiammata dei prezzi, al momento, inducono alla prudenza e si prevede un ritorno a livelli più bassi a fine 1° semestre 2022, anche se superiori del 5%-10% a quelli dell’inizio pandemia.
A fine novembre l’inflazione negli USA è balzata al 5%-6%, mentre nell’Ue è attorno al 3% e in Italia all’1,8%. Nel momento della recessione seguita alle crisi del 2008 e del 2011/12 si riteneva che un ritorno al 2% potesse costituire uno stimolo alla ripresa. Ma la situazione attuale va oltre e rischia di produrre l’effetto opposto col ritorno a politiche di liquidità restrittive da parte delle Banche centrali. Ue e USA avevano già annunciato un incremento dei tassi da aprile, ora bisognerà vedere quando, in che misura e con quali modalità. Il problema a quel punto sarà la liquidità immessa col debito pubblico per contrastare la crisi e sostenere la ripresa. La risalita dei tassi porrà problemi a Paesi come l’Italia per la quota di debito non garantita dalla Ue e ciò spiega il rilievo mosso dalla Commissione Ue al nostro bilancio 2022 sul rapporto fra spesa corrente e investimenti.
Nel mare mosso dell’economia al tempo della pandemia e nei decenni della ricostruzione i problemi vanno ben oltre l’aumento del grano, del pane, della pasta o della tazzina di caffè: un fatto che sembra sfuggire all’opinione pubblica.
Nel mare mosso dell’economia il rischio dovuto al sommarsi della crisi dei sistemi produttivi e dell’inflazione, è la tempesta perfetta. Al timone servono concretezza e capitani coraggiosi per condurci in porti più sicuri.