La ripresa economica in movimento a partire dai Paesi ad economia avanzata mette a segno incrementi di crescita che a ottobre sono superiori alle previsioni di luglio e che fanno sperare in un risultato su base annua ancora migliore. L’economia globale alla fine del 2021 è prevista in crescita del 5,9% rispetto al 2020 e nel 2022 dovrebbe salire del 4,9%. Quella Italiana, secondo il documento programmatico di bilancio, segnerà un incremento superiore al previsto 6% che dovrebbe portarla almeno al 6,2%. Ci si chiede con speranza e con ansia se davvero tutto stia riprendendo e per quanto tempo i ritmi del 2021 potranno continuare. I segnali sono spesso contrastanti e andrebbero considerati con grande ponderazione e in un quadro complessivo vasto. È l’esperienza stessa del mondo al tempo della pandemia a suggerire una condotta cauta. Nella trepidazione del momento non dobbiamo dimenticare che la pandemia è stata contenuta, ma non è finita né domata. Da ciò nascono dubbi e problemi.
Quello fondamentale è che stiamo ancora lottando con una malattia che non abbiamo sconfitta e che non conosciamo ancora bene, con le conseguenze che ne possono derivare sul piano economico.
I dati mostrano che la ripresa nasce con la volontà di essere rigogliosa, ma si scontra anche con molte contraddizioni. Lo strumento economico a cui ci siamo rivolti è stato sostanzialmente un allentamento delle politiche di stabilità a favore di un imponente allargamento della possibilità per gli Stati di indebitarsi. Ciò ha consentito di operare in due direzioni disponendo di risorse quasi illimitate: a) sostenere le economie messe in ginocchio dai lockdown e dalle misure di distanziamento continuando ad erogare ad una parte della società aiuti ed integrazioni di reddito, b) aiutare la ripresa a ripartire non appena possibile per rimettere in moto l’economia. Ma fra i due punti vi è un momento di passaggio in cui devono ridursi sussidi e provvidenze per ampliare gli incentivi, un momento critico per ovvie ragioni sociali per chi vede calare il proprio reddito ed economiche perché il recupero non è immediato.
Ma vi è un altro limite: l’enorme massa di liquidità messa in campo per sostenere le attività ferme o danneggiate e stimolare quelle forti per trainare la ripresa, muove l’inflazione. Abbiamo visto che siamo oltre la soglia del 2% ritenuta ottimale quando l’economia mondiale era depressa. In Europa e anche in Italia i prezzi dei beni di consumo a ottobre hanno raggiunto il 3%. Su base annua da noi l’inflazione è calcolata all’1,8%, in altri Paesi oltre il 2%. Il balzo dei prezzi è legato ad almeno due cause: a) l’aumento improvviso della domanda di materie prime per la ripresa in un’economia debilitata richiede che si formino nuovi equilibri domanda/offerta. Un rallentamento della velocità spinge in su i prezzi per le quantità disponibili; b) col lavoro cresce la domanda dei consumatori finali i cui redditi salgono per la ripresa e che hanno conservato capacità di spesa (risparmio) dai tempi dei lockdown.
L’inflazione accanto alle componenti tecniche, ne ha anche una psicologica molto forte dettata dalle aspettative. I prezzi al consumo salgono vertiginosamente, aiutati involontariamente dall’eco che creano i mezzi di informazione perché ciò “fa notizia”, soprattutto se si parla di cibo e di materie energetiche. Queste vengono da un periodo in cui il prezzo del petrolio era talmente basso da essere considerato quasi “azzerato” attorno a valori di 20/25 $/barile. In pochi mesi siamo arrivati sopra agli 80$, i produttori avevano concordato drastiche riduzioni di produzione, per ripartire devono aumentare estrazione e lavorazione, serve tempo. Insieme a questa nei mesi della crisi si sono formate strozzature o rotture tecniche nell’offerta oltre a contrasti politici come nel caso del gas.
Per le commodity agricole siamo in presenza di annate record di produzione delle principali, i grandi cereali e la soia. Il prodotto non manca, gli stock sono adeguati, ma basta una riduzione in alcune aree per amplificare la ricaduta sui prezzi. Il prodotto non manca, ma i prezzi, soprattutto nelle ultime 20/25 settimane, sono alle stelle per grano, soia e, meno, per mais e riso. Attualmente sembrerebbero fermi o in lieve calo, ma è presto per sbilanciarsi, anche se le quotazioni a termine per agricoli ed energetici indicano mercati meno volatili. Il binomio commodity agricole ed energetiche è complicato dall’opzione green e, in Italia, dagli oneri che vengono caricati sulla bolletta, sul litro di carburante, sul metro cubo di gas, mentre aumentano le importazioni di materie prime agricole, anche se esportiamo alimentari e vino.
La ripresa durante la pandemia è un cammino in salita: preoccupazioni per la sanità, strozzature dell’offerta, tensioni dei prezzi, preoccupazioni per il debito, malcontento che serpeggia, eppure procede. Una fase conservativa e contemporaneamente ricostruttiva come questa ha bisogno di grande prudenza e di scelte ardite, ma oculate. Di slanci e sacrifici, ma anche di azioni caute e di ragionevoli sforzi. Il tempo è prezioso, non possiamo perdere questa grande ripresa. Una ricostruzione come quella del dopo guerra generò in Italia il “Miracolo economico”, oggi è un’occasione da non perdere dopo anni di stagnazione economica e di agricoltura negletta.