Il dibattito sugli Ogm si riaccende proprio nei giorni in cui, per l’ennesima volta, l’Ue dà prova della sua cronica incapacità di decidere su un mais che da 11 anni attende l’autorizzazione ad essere coltivato in Europa e su cui non si è raggiunto nessun accordo.
Dal 1996 al 2013 la superficie coltivata nel mondo con piante geneticamente modificate è salita da 1,7 a 175,2 milioni di ettari. In Europa, però, solo 5 paesi coltivano a mais 148.000 ha, 137.000 dei quali in Spagna. La produzione proviene per il 54 % dai paesi in via di sviluppo, anche se al primo posto ci sono gli Usa, con 70 milioni di ettari. Gli agricoltori che li impiegano sono 18 milioni e per il 90% operano nei Pvs. Le piante che ne beneficiano sono soia, mais, cotone, colza e, in misura minore, papaya, bietole, erba medica, pomodoro.
Il dibattito, specie in Italia, mescola troppi argomenti eterogenei che alimentano la confusione, inclusi quelli economici. Gli aspetti economici sono numerosi e si intrecciano con gli altri. Apparteniamo a coloro che pensano che gli Ogm debbano essere utilizzati solo a condizione che vi siano tutte le garanzie della scienza e riteniamo che dall’economia non possa provenire la parola definitiva su una questione così complessa. Tuttavia le sue ragioni vanno valutate con attenzione per le loro implicazioni.
Ad esempio, occorre riflettere sul fatto che in Italia la coltivazione di piante geneticamente modificate è fieramente avversata anche se l’impiego e il commercio sono liberi. Il nostro sistema agricolo non può non fare ampio ricorso ad essi per mais e soia destinati all’alimentazione di quegli animali da cui ottiene i prodotti più pregiati della tradizione italiana come formaggi e salumi.
La diffusione e le caratteristiche economiche della coltivazione di piante GM confermano che queste comportano un’innovazione di prodotto perché portano a prodotti nuovi; di processo, perché implicano cambiamenti nelle tecniche di produzione; di organizzazione perché inducono modifiche nelle aziende riducendo l’impiego di antiparassitari e di macchine per distribuirli. Come tutte le innovazioni il successo è dimostrato dalla progressiva sostituzione alla precedente tecnologia in vaste aree del mondo. Il risultato concreto, dove l’impiego è ammesso, è dato da un incremento di produttività che fa calare i costi unitari. A parità di risorse impiegate la produzione è maggiore ovvero se si riducono le risorse la produzione non cala. La nuova tecnologia ne sostituisce una meno efficiente anche come impatto sull’ambiente.
Soprattutto, però, risponde ad un’esigenza dell’umanità che non può essere accantonata: produrre di più, per una popolazione in aumento e per consumi in crescita. Tutto ciò serve ad un mondo che ha bisogno di prodotti agricoli in quantità e qualità sempre più elevate, ma che non trova terreni da aggiungere a quelli coltivati. Per frenare la diffusione degli OGM in Italia si dice che da noi non ve ne sarebbe bisogno, ma si dimentica che il sistema agricolo mondiale è unico, come lo è il genere umano e la crisi lo ha dimostrato. Vi è consenso sul fatto che la nostra agricoltura debba essere competitiva, ma fermando l’innovazione biotecnologica le si impone di affrontare una concorrenza che ne fa uso senza concederle armi pari.
L’Italia ha individuato nella tipicità la strada della valorizzazione dei suoi prodotti, ma non produce a sufficienza le materie prime necessarie che vengono importate (per la soia circa il 90% del fabbisogno e per il mais 25%-30%) e spesso sono Ogm. Un crescente ricorso alle importazioni porta a chiedersi se il “premio” della tipicità potrà ancora essere riscosso in futuro. Per giustificare lo stop agli OGM molti sollevano il problema della proprietà di questi organismi che sarebbe limitata ad un ridotto oligopolio. Ma la critica si scontra con il fatto che concentrazione delle imprese biotecnologiche è simile a quella esistente per gli altri mezzi tecnici per l’agricoltura e inferiore ad altri settori industriali. La diffusione nei PVS e fra i piccoli produttori dei paesi poveri dimostra che il problema non è condizionante. La ricerca nel settore in Italia era molto avanzata e in prevalenza pubblica, se non fosse stata fermata, avremmo minori problemi sulla proprietà degli OGM e piante più tipiche del nostro paese.
Le biotecnologie, oggi limitate a pochi caratteri e piante, con il progresso di ricerca e sviluppo potrebbero risolvere molti problemi come quelli della salinità e del cambiamento climatico dimostrando di essere davvero una tecnologia per tutti. Ma occorre il coraggio di superare indugi e oscuri timori e di tornare con serena fiducia alla tradizione di ricerca e di produttività tipica dell’agricoltura italiana. Altrimenti vi è il rischio che, dopo la bolletta energetica, ci toccherà pagare anche una pesante “bolletta” agricola.