La tracciabilità genetica, nata come tecnologia applicata della genetica e della genomica, sta dando un importante contributo al controllo della qualità e sicurezza di materie prime agricole e prodotti trasformati. Si sta dimostrando inoltre un valido strumento per la valutazione dell’autenticità di prodotto e dell’identità di sementi e prodotti di vivaio. L’interesse per sistemi analitici basati sul DNA profiling è giustificato dal fatto che il DNA è una molecola estraibile dai diversi tessuti di piante erbacee ed arboree e da innumerevoli matrici alimentari e prodotti finiti, stabile ai diversi trattamenti tecnologici che le materie prime possono subire nelle fasi di lavorazione.
Si può interrogare il DNA estratto da una materia prima, un alimento ed un mangime ed ottenere informazioni rilevanti, quali il contenuto in specie vegetali o animali, la presenza di varietà specifiche, l’eventuale presenza di microrganismi dannosi o, al contrario, benefici. E’ ormai ben consolidata ed utilizzata in modo routinario l’analisi del DNA per la caratterizzazione univoca di varietà, convenzionali e geneticamente modificate, ibridi vegetali e razze animali, a difesa dei diritti del costitutore, ma anche a tutela dei coltivatori ed allevatori.
Due recenti manisfestazioni, l’una a livello nazionale, l’altra internazionale, hanno sottolineato il tema della tracciabilità genetica.
La giornata di studio “Autenticità delle produzioni agricole e degli alimenti: il caso dei cereali”, recentemente realizzata presso la sede dell’Accademia dei Georgofili in collaborazione con AISTEC (l’Associazione Italiana di Scienza e Tecnologia dei Cereali) ha sottolineato come, in riferimento alle colture cerealicole, l’analisi del DNA possa dare varie informazioni, utili nei diversi punti della filiera. Si parte quindi dall’utilizzo di marcatori molecolari per l’identificazione certa di varietà ed ibridi e si può arrivare a tracciare aspetti di rilievo per la qualità e la sicurezza nutrizionale in un alimento di fine filiera. Riportiamo due esempi, tra i tanti possibili. La pasta italiana, a norma di legge, deve essere preparata con semola di grano duro, con una contaminazione massima di grano tenero del 3%. Con l’analisi del DNA si può verificare e quantificare la presenza delle due specie di grano lungo l’intera filiera, dalla semola alla pasta (Terzi et al. 2003). La presenza di contaminanti biologici lungo la filiera può incidere in modo estremamente negativo sulla sicurezza d’uso degli alimenti: basti pensare alla contaminazione da micotossine, prodotte da diverse specie fungine, tra cui i Fusaria. La diagnostica molecolare, attualmente affidabile, economica e rapida, è strategia efficace per il monitoraggio di tali indesiderabili contaminanti di origine microbica. Questa stessa tecnologia può essere applicata però per la caratterizzazione del microbiota favorevole utilizzato nei passaggi tecnologici.
Tanti i lavori presentati sull’argomento al recente
Convegno Internazionale RAFA 2013 (
http://www.rafa2013.eu/BoA.html), focalizzato sull’analisi dei prodotti alimentari. L’analisi del DNA si è dimostrata efficace per verificare moltissime caratteristiche-chiave, diverse a seconda del prodotto e della filiera. Gli esempi spaziano dall’identificazione delle specie botaniche bottinate dalle api che si traducono nelle diverse produzioni di miele, alla tracciabilità di allergeni, fino alla discriminazione tra produzioni biologiche e convenzionali sulla base del diverso microbiota.
Di rilevanza è infine la possibilità di tracciare varietà vegetali, partendo dalla semente o dal clone ed arrivando al prodotto finito. Basti pensare alla filiera vite-vino, in cui l’identità di un clone è importantissima per il vivaista, per il viticoltore, per la cantina. A questo proposito il progetto VIGNETO ha recentemente fornito tutte le varietà iscritte al registro nazionale di un passaporto molecolare che ne descrive definitivamente l’identità (per info: valeria.terzi@entecra.it).