Più frutta nei succhi. Lo stabilisce un emendamento passato alla Camera contro il parere del Governo che innalza al 20% (attualmente è il 12%) la quantità minima di frutta che deve essere contenuta nelle bevande analcoliche a base di frutta prodotte e commercializzate in Italia.
Duecento milioni di chili di arance all'anno in più saranno "bevute" dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate dopo l’approvazione dell’emendamento. E’ quanto calcola Coldiretti. Basta, dunque, con «l'aranciata senza arance che inganna i consumatori costretti a pagare l'acqua come la frutta ma che sta anche facendo sparire il frutteto italiano, con gravi perdite economiche ed occupazionali», ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che «l'Italia con il primato europeo nella qualità e sanità degli alimenti ha il dovere di essere all'avanguardia nella battaglia per cambiare norme difese in Europa solo dalle grandi lobby industriali. L'emendamento concorre a migliorare concretamente la qualità dell'alimentazione e a ridurre così le spese sanitarie dovute alle malattie connesse all'obesità che sono in forte aumento, ma non va peraltro dimenticato - continua Moncalvo - l'impatto sulle imprese agricole poiché l'aumento della percentuale di frutta nelle bibite potrebbe salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria anche in zone ad alta tensione sociale come la piana di Rosarno».
Un plauso alla decisione arriva anche dalla Cia che però sottolinea che «il problema ora e' quello di ottenere il parere di compatibilità del provvedimento da parte dell'Ue. Su questo tema, purtroppo, già in passato la Commissione europea ha espresso la sua contrarietà». «Avere più frutta nelle bevande analcoliche indubbiamente migliora la qualità del prodotto, tutela i consumatori e da' garanzie ai produttori agricoli ma- spiega la Cia- senza il consenso di Bruxelles, la misura rischia di essere inefficace». Più in generale, «per una corretta informazione nei confronti dei consumatori e per meglio salvaguardare i nostri produttori di frutta, e' quanto mai necessario che vengano presto presi provvedimenti al fine di rendere più visibile e rafforzare la filiera italiana, dal campo allo scaffale- aggiunge la Cia- Basti pensare che oggi, su frutta e ortaggi freschi, al produttore va in media il 18% circa del prezzo finale che i consumatori pagano al supermercato. Una quota di valore che negli ultimi dieci anni e' scesa di oltre 5 punti, mentre hanno continuato a crescere i costi di produzione, è aumentato l'import 'low-cost' soprattutto dal Nord Africa e gli agricoltori si sono trovati a fare i conti anche con ricorrenti crisi di mercato e con cambiamenti climatici sempre più repentini con effetti diretti sulle produzioni».
Da Agricultura.it. 16/01/2014