La competitività è contemporaneamente una condizione per conseguire gli aumenti di produttività necessari allo sviluppo dell’agricoltura e lo strumento per conservarli e favorirne gli ulteriori incrementi. Senza il suo miglioramento non si può mantenere vivo e vivace nessun settore produttivo, neanche quello agricolo. Il problema è quale significato attribuirle in un paese di antica agricoltura con poche terre coltivabili, costi dei fattori di produzione elevati, a partire dai valori fondiari, rigidità strutturali. La competizione stimola a migliorare processi produttivi e prodotti, modelli organizzativi, istituzioni del settore, redistribuzione dei ruoli nelle filiere. È arduo competere con materie prime prodotte a costi bassissimi nel mondo, ma si può farlo con prodotti che presentino caratteristiche complessive di offerta che siano migliori. La soluzione non sta nel ritorno a un passato in cui le rese erano infime e la sanità dei prodotti fortuita, ma avvalendosi dei progressi della ricerca come i nostri concorrenti.
La competitività porta a riflettere sul diffuso timore del mercato visto come un’entità oscura e sostanzialmente avversa. Un timore che nelle sue diverse forme conduce al protezionismo. Dalla difesa dei prodotti locali al cosiddetto chilometro zero merita una riflessione seria. Il mercato è il più efficiente fattore di progresso e di selezione dei produttori che vi sia. Può presentare disfunzioni e difetti, è frequentato anche da free riders che traggono vantaggi indebiti da comportamenti sleali, ma tutto ciò rientra nella patologia e non nella fisiologia. Un modello di scambi come quello del km zero può rappresentare una soluzione per alcuni produttori e consumatori, ma come sistema non può funzionare. La perdita di efficienza economica, l’incremento dei costi, la riduzione dell’offerta, l’irrealizzabilità logistica, i problemi di stagionalità e irregolarità delle produzioni indicano che le soluzioni vanno ricercate altrove. Può soddisfare alcuni consumatori ricchi, evoluti, con obiettivi extraeconomici, in grado di approvvigionarsi nei normali canali di ciò, ed è la parte maggiore, che non vi trovano. I produttori che vi partecipano sono una fortunata minoranza perché possono accedere al mercato locale, ma l’agricoltura ha altre dimensioni. La critica al km zero sposta l’attenzione verso le filiere corte che sono un’altra cosa. L’agricoltura ha bisogno di un sistema di scambi efficiente che garantisca la fornitura di alimenti seguendo alcuni criteri: per i consumi essenziali, a parità di qualità, il costo che reclama forme efficienti di mercato; per quelli che seguono altre esigenze un sistema di scambi che assicuri flussi e requisiti. I sistemi locali possono presentare qualità non adeguate, quantità insufficienti, limitatezza dell’offerta come sa la produzione di prodotti tipici costretta a dipendere dalle importazioni.
Il mercato in sé non è il nemico da abbattere, ma una preziosa occasione di stimolo a competere e di valorizzazione di potenzialità produttive e redditività da favorire e stimolare.
(L’articolo è tratto da una relazione svolta all’Assemblea generale dei Georgofili – Firenze, 17 dicembre 2013)