Professore Ferrini, proprio in questi giorni la COP26 ha trovato 20 miliardi da destinare alla riforestazione, è un bene secondo lei?
Certamente sì perché finalmente si affronta un problema che fino a pochi anni fa era completamente ignorato. Vorrei tuttavia ribadire con forza che non si deve pensare che piantando alberi si possa continuare a inquinare. Dobbiamo innanzi tutto ridurre le nostre emissioni e non pensare che gli alberi, da soli, risolvano i problemi del pianeta.
E questa mia affermazione si basa su semplici dati di fatto e conteggi direi "elementari".
Ci può spiegare meglio?
Secondo quanto riportato dal sito "One trillion trees", gli alberi piantati sono alcune decine di milioni (a fronte dei 15,3 miliardi abbattuti annualmente). Supponendo anche che ne piantassimo 100 milioni a settimana per arrivare a mille miliardi ci vorrebbero poco più di 192 anni. La grande sfida imposta dalla crisi climatica non può attendere tanto.
Inoltre, gli alberi, come tutti gli esseri viventi, possono morire: se consideriamo una percentuale di sopravvivenza del 50%, che in alcuni casi è anche ottimistica, gli anni per avere 1000 miliardi di alberi in più diventano 384.
Il problema è anche un altro: quanta superficie terrestre servirebbe quindi per 1000 miliardi di alberi adulti?
Se, solo per avere un ordine di grandezza, prendiamo un albero comune come un tiglio, il cui raggio della chioma raggiunge facilmente i 5 m a maturità. Con un raggio di 5 m lo spazio indicativamente occupato dalla chioma è di circa 78 m2. Per mantenere la chioma verde e fotosinteticamente attiva per tutta la sua profondità, e non solo per i 3 o 4 m della sua sommità, bisogna lasciare almeno 1 m in più rispetto al raggio effettivo che la pianta raggiungerà da adulta; pertanto, l'area che serve ad una pianta del genere è di circa 113 m2 (circa 85-90 piante per ettaro).
Possiamo piantare anche 1.000 alberi per ettaro, ma se vorremo mantenere al massimo il potenziale delle piante che costituiranno il soprassuolo definitivo, saranno necessari diradamenti e, in alcune decine di anni, si arriverà comunque a 85-90. Qualora ne mantenessimo comunque di più non eseguendo diradamenti, la capacità di fissazione permanente della CO2 per ettaro sarà inferiore. Se consideriamo una cifra tonda di 100 alberi per ettaro e si moltiplica la superficie necessaria a ogni pianta per il numero di alberi si arriva a un fabbisogno di 100 milioni di chilometri (non ettari!) quadrati. Se si considera che l'Italia ha una superficie di 301.304 chilometri quadrati, se ne ricava che per 1.000 miliardi di alberi fotosinteticamente al meglio delle loro potenzialità, servono indicativamente oltre 330 Italie, oppure, se preferite oltre 10 Canada (cioè poco più del 70%delle terre emerse).
Che percezione distorta trasmettono le fonti ufficiali all'opinione pubblica?
Innanzi tutto, non si dà il credito necessario alle evidenze scientifiche e ai dati empirici. Mentre anche alla COP26 si glissa sulla data delle emissioni nette globali di gas serra pari a zero o sulla neutralità del carbonio, preferendo un generico "entro la metà del secolo o verso la metà del secolo”, si ripetono cifre non basate su dati scientifici o sulle possibilità tecniche per quanto riguarda gli alberi che dovranno essere messi a dimora (per questa volta almeno ci siamo risparmiati l'orrendo e irritante "piantumati").
Un altro esempio: quando al portavoce di Ursula von der Leyen è stato chiesto quanti alberi sono stati piantati da maggio a Novembre 2020, è calato il gelo. Non sono state fornite cifre, e i cronisti sono stati invitati a interpellare le regioni e i singoli Stati membri della UE.
Quali soluzioni sono dunque percorribili?
Piantiamo alberi e facciamolo bene, poiché servirà a contrastare la crisi climatica, ma non illudiamoci di poter nascondere il carbonio fossile che mettiamo in circolazione sotto un tappeto di alberi. Potremo dare un contributo con gli alberi e lo daremo, ma servirà soprattutto ridurre le nostre emissioni e imparare a vivere all'altezza delle nostre possibilità ambientali.
Va anche detto che Ursula von der Leyen ha affermato che dovranno essere piantati 3 miliardi di alberi in Europa entro il 2030. Anche qui, solo in termini numerici, la promessa sembra poca attuabile: piantare tre miliardi di alberi in 10 anni (circa 7 per abitante UE 27) vuol dire piantarne 300 milioni ogni anno. Per raggiungere questa cifra, bisognerebbe procedere al ritmo di circa 1,5 milioni al giorno considerando che la stagione di piantagione sia di circa 200 giorni. Il problema è che dei 200 giorni potenziali che vanno dai mesi metà ottobre a metà aprile ci sono oltre 50 sabati e domeniche e almeno 10 giorni di festa (anche se ci basassimo sull’aiuto dei volontari, non sarà mai possibile averne un numero sufficiente a disposizione). Oltretutto non si può piantare nei periodi eccessivamente piovosi e nei giorni di gelo (frequenti al nord Europa). Ciò vuol dire che abbiamo al massimo 100-120 giorni per piantare…ne consegue che potrebbe essere necessario piantare quasi 3 milioni di alberi al giorno. Anche se parliamo di piccole piantine forestali, sono sempre 3.000.000 di piantine da movimentare, piantare e irrigare se non piove. E così per 100-120 giorni.
Resta infine da capire dove sono 3 milioni di piante al giorno disponibili, visto che l’attività vivaistica è considerata un’attività marginale ed è sottoposta a numerosi vincoli, giusti o eccessivi che siano che impediscono di svilupparne a pieno le potenzialità produttive.
Occorre sottolineare che, al momento, la quantità di alberi necessaria per il progetto che, appunto prevede di piantarne 1000 miliardi da qui al 2030 non è neanche lontanamente disponibile e non lo sarà neanche nel prossimo futuro a mio parere.
Come si deve procedere allora?
Il mio pensiero finale, come detto, è piantiamo meno e piantiamo meglio. Piantiamo alberi in modo corretto laddove essi sono più necessari, cioè nelle aree urbane e periurbane, e lasciamo che la natura faccia il suo corso e piano piano riconquisti le aree sottratte ai boschi e attualmente abbandonate. Magari potremo favorire questa "riconquista" evitando che i nuovi boschi siano costituiti da specie invasive, gestendo in modo adeguato questa “naturale riforestazione”.
E, soprattutto, affidiamo questo compito a coloro che di impianto e gestione delle foreste ne capiscono.
Anche io, agronomo di formazione, devo ascoltare quanto dicono i colleghi forestali, non perché sono delle Cassandre, ma perché sanno di ciò che parlano. Ma forse è più facile credere alle favole.