Negli ultimi cinque anni l'Italia ha perso 75mila ettari coltivati a grano duro. Per valorizzare il prodotto italiano occorre lavorare su accordi di filiera che garantiscano produttori e consumatori. È quanto sostiene, nel World Pasta Day, celebrato il 25 ottobre, CAI - Consorzi Agrari d’Italia, che con più di 4 milioni di quintali di cereali stoccati e gestiti rappresenta la prima realtà organizzata della produzione nel nostro Paese.
In base alle stime Cai su dati Istat, è necessario lavorare per aumentare la produzione, anche attraverso investimenti lungo tutta la filiera, per evitare che il nostro Paese continui a dipendere troppo dalle importazioni di prodotto dagli altri Paesi produttori.
Un percorso virtuoso che però non sembra essere favorito dalla scadenza, il prossimo 31 dicembre, del decreto che dal 14 febbraio 2018 aveva introdotto l'obbligo di etichettatura dell'origine del grano utilizzato sulle confezioni di pasta, come lamenta Coldiretti.
Anche Cia-Agricoltori Italiani pone l’attenzione sulla valorizzazione dell’origine del prodotto e sui contratti di filiera che favoriscano le produzioni domestiche, incentivando la coltivazione del grano duro Made in Italy, per andare incontro al fabbisogno dell'industria pastaria. Servono, inoltre, forti investimenti in ricerca per aumentare le rese e favorire produzioni sempre più sostenibili anche in chiave ambientale. Il rafforzamento della filiera aumenterebbe, così, gli investimenti dei nostri produttori e ridimensionerebbe il ricorso all’import.
L’Italia, con circa 4 milioni di tonnellate di produzione su base annua, è il primo Paese produttore europeo di grano duro, ma è contemporaneamente anche primo importatore mondiale per soddisfare la domanda dell’industria nazionale, che ne trasforma circa 7 milioni.
da: Terra e Vita, 25/10/2021