Che cosa vi aspettate dal protocollo di intesa da poco riconfermato con l'Accademia dei Georgofili?
“Ci aspettiamo di poter proseguire nel solco della precedente intesa, che giudichiamo molto positiva e che ha operato nella direzione della formazione, mettendo a disposizione le competenze accademiche altamente elevate e rafforzando un percorso di abilitazione e di crescita professionale che è l’unica strada, ormai, per sostenere la transizione digitale del settore agricolo e agromeccanico.
Parallelamente, ci aspettiamo di poter condividere progetti di ricerca pratica, finalizzati a migliorare la sostenibilità economica, ambientale, sociale e la competitività del Sistema-Agricoltura, che vedrà le imprese agromeccaniche sempre più protagoniste”.
Quanto è diffusa oggi in Italia l’agricoltura di precisione?
“Purtroppo poco. Dare numeri definitivi è impossibile, in quanto sono incostante evoluzione, ma dovremmo essere poco sopra il 4% delle imprese agricole. Una cifra, peraltro, che rischia di essere poco verosimile, in quanto abbiamo notizie dal nostro osservatorio privilegiato che molte imprese agricole hanno acquistato strumentazioni digitali e per l’agricoltura di precisione, senza tuttavia poi essere in grado di utilizzarle, ma solo con la finalità di accedere ai fondi di Agricoltura 4.0. La crescita dell’innovazione tecnologica resta nel complesso molto veloce, con percentuali significative, in quanto parte da numeri molto contenuti.
Come Cai riteniamo che sia assolutamente prioritario incrementare tali pratiche legate al precision farming, in quanto sono la premessa indispensabile per poter avere un’agricoltura razionale, attenta a contenere i costi, a migliorare la redditività e la competitività dell’impresa, a ridurre l’impatto ambientale, le emissioni e a tracciare non solo le produzioni, ma tutte le operazioni in campo. Pensiamo alla questione dei nitrati: la Commissione europea nei giorni scorsi ha invitato l’Italia a riconsiderare alcuni aspetti per contenere i livelli di azoto nell’area padana, in particolare. Ecco, strumenti per l’interramento ombelicale dei reflui, che ormai molti imprenditori agromeccanici utilizzano, non solo riducono la dispersione ammoniacale in atmosfera e, dunque, gli odori, ma permettono di distribuire il prodotto in base all’effettiva necessità del terreno e in maniera certificata”.
Come pensa sia possibile migliorare fattivamente la formazione degli addetti ai lavori, anche per migliorare la sicurezza sul lavoro (tema in cui purtroppo l'agricoltura è indietro)?
“La sicurezza è un tema che penso debba essere insegnato già a partire dalla scuola e dai corsi di studio post-diploma, come strumento indispensabile di crescita. Da sempre la nostra Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani ritiene che gli investimenti in sicurezza e prevenzione non siano costi, ma al contrario interventi necessari, anche per ridurre eventuali impatti sulla società.
La collaborazione con l’Accademia dei Georgofili, così come i corsi sulla sicurezza e l’utilizzo corretto delle trattrici e delle macchine agricole possono contribuire a fare cultura e aiutare un percorso di crescita degli operatori.
È necessario, tuttavia, che le imprese agromeccaniche che investono in mezzi e formazioni abbiano la certezza di garantire l’occupazione, così da non vanificare gli sforzi in un continuo turnover di dipendenti e collaboratori.
Quanto al commento sullo stato dell’arte dell’agricoltura, lo condivido solo in parte. Le statistiche ci dicono che il numero più elevato di incidenti mortali riguarda non macchine e trattrici moderne, quanto mezzi obsoleti, condotti da agricoltori per lo più in pensione e avanti con gli anni. Ecco, siamo convinti che il salto culturale debba passare anche dalla crescita degli operatori professionali, ricorrendo magari di più al contoterzismo agricolo, ove l’essenza stessa dell’impresa agricola lo richieda”.
Nel settore agromeccanico, avete bisogno di addetti specializzati? Quanti e quali figure?
“Gli addetti specializzati sono necessari, tanto più oggi in cui l’agricoltura di precisione impone la capacità di saper leggere e interpretare i big data, da soli o, come appare la soluzione più corretta, con l’ausilio di agronomi o figure professionali specifiche.
È impossibile, per un’impresa agromeccanica professionale moderna, pensare di lavorare senza che i propri dipendenti o collaboratori non sappiano utilizzare un computer, uno smartphone o una app.
Le nostre imprese, inoltre, avrebbero bisogno, allo stesso tempo, di maggiori strumenti per garantire il passaggio generazionale, altro tema che coinvolge il futuro aziendale e che, grazie all’inserimento di giovani, faciliterebbe l’adozione di soluzioni di agricoltura di precisione, e smart farming.
È piuttosto complesso quantificare numericamente il fabbisogno, ma possiamo ipotizzare un ordine di grandezza intorno alle 1.000 persone l’anno, che sappiano utilizzare gli strumenti digitali che oggi le macchine impiegate dalle imprese agromeccaniche utilizzano”.
Quali sono le richieste di CAI in merito al nuovo Piano nazionale strategico della PAC?
“Agricoltura e ambiente, che nella stesura della Politica agricola comune di sessant’anni fa erano due sostantivi utilizzati sempre insieme, oggi sembrano avere dimensioni separate e, forse, è una forzatura, perché sembra quasi che faccia passare il concetto che l’attività agricola abbia effetti distorsivi o negativi sull’ambiente. Invece non è così, tutt’altro, visto il ruolo degli operatori dell’agricoltura nella cura del suolo, delle risorse idriche, del paesaggio, dell’ambiente nel proprio insieme.
Fatta questa doverosa premessa, ritengo che agricoltura e ambiente debbano dialogare e che su questi cardini debba innervarsi la Politica agricola comune del futuro. il nuovo Piano strategico dovrà agevolare e favorire l’integrazione, assecondare il miglioramento delle rese e la riduzione degli sprechi, promuovere la competitività e sostenere una crescita armonica, che sappia condurre il mondo agricolo verso un nuovo ruolo, di guida e di epicentro di un modello rurale equilibrato, attento, in cui la corretta remunerazione sia garantita e indirizzata verso uno sviluppo rurale globalmente inteso.
Il Piano strategico nazionale dovrà dare queste risposte, favorendo i punti di forza dell’agricoltura italiana, spingendo l’agroalimentare italiano verso una più marcata internazionalizzazione, favorendo le interazioni delle filiere verticali e delle catene di approvvigionamento.
Chiediamo come Cai un Piano strategico armonico, inclusivo, che aiuti l’agricoltura ad evolvere e che non si traduca nei soliti processi discriminatori. Non avrebbe senso in questa fase, in cui l’impresa agricola non ha la forza e nemmeno la struttura dimensionale per introdurre alcune soluzioni di innovazione. Ecco, si riconoscano i limiti connaturati all’impresa agricola e si lavori per fare in modo che tali limitazioni possano essere superate con soluzioni di rete che devono trovare pari dignità, però, rispetto ad altri modelli produttivi”.