La «guerra del miele» arriva in tribunale. È iniziata, infatti, mercoledì 6 ottobre un’udienza di tre giorni per stabilire l’origine del «manuka», rivendicata da Australia e Nuova Zelanda. Come riporta Abc, i produttori australiani del miele che vanta proprietà antinfiammatorie, antisettiche e cicatrizzanti, tentano di bloccare — ancora una volta — la procedura di trademarking avviata dalla controparte, sostenendo che la parola «manuka» sia usata in Australia per descrivere la pianta e il prezioso nettare sin dagli anni 1930. L’idea è quella di impedire agli «avversari» di registrare come marchio le parole «miele di manuka».
Dall'altra parte, la New Zealand Manuka Honey Appellation Society sostiene che il suo prodotto sia totalmente diverso da quello australiano e che la parola abbia da sempre un importante significato per la cultura maori che usano le foglie della pianta per curare la febbre o realizzare oli e creme miracolose. Wellington chiede, quindi, l’istituzione di un «marchio di certificazione» per impedire che qualsiasi «miele di manuka» straniero venga etichettato come tale all’interno del Paese. Questo nonostante le leggi esistenti già vietino le importazioni di miele da quasi tutti i Paesi, ad eccezione di una piccola manciata di nazioni delle isole del Pacifico. Una curiosità? Anche Thomas Cook, sbarcato sulle coste neozelandesi nel 1769, apprezzava molto le foglie di questa pianta per il tè. Soprattutto per il tè.
Quello di manuka è un miele monofloreale che prende il nome dalla pianta del Leptospermum scoparium (comunemente nota come «manuka»), i cui fiori sono ricchi di polline e nettare alimentano le api durante la produzione. A fabbricarlo è una comune specie di ape europea, l’Apis Mellifera, introdotta — ad opera dell’uomo — nelle due nazioni a fine Ottocento.
E mentre si litiga per la paternità di un nome, le api — fondamentali per l'impolllinazione — sono sempre più in pericolo in particolare per il crescente uso di pesticidi, la distruzione del loro habitat, l'aumento delle temperature globali dovuto all'attività umana.
da: corriere.it, 6/10/2021