E’ un po’ come nel calcio: il vero valore degli uomini (e delle squadre) si vede a livello internazionale, nelle competizioni fuori dai confini nazionali. Viene naturale il paragone guardando i dati dell’export ortofrutticolo del primo semestre dell’anno, che (forse) avranno stupito più di un operatore. Se continua così a fine anno supereremo i 5 miliardi di controvalore, un livello tra i migliori degli ultimi dieci anni. Il saldo positivo, sempre a fine anno, potrebbe essere superiore al miliardo di euro, tra i migliori di sempre. Anche in quantità si torna in positivo (12.735 tonnellate): insomma non siamo più importatori netti (almeno nel primo semestre). Uno dirà: facile fare meglio del 2020, l’anno dell’esplosione della pandemia. Però giustamente Fruitimprese ha fatto il paragone anche col 2019, ultimo anno ‘normale’. E anche qui i numeri sono più che positivi: quasi + 23%.
Quindi? Non si può che concludere con le parole di Marco Salvi: “Il nostro export si conferma in buono stato di salute, nonostante tutti i problemi produttivi, di mercato e ultimamente anche di logistica con l’esplosione del costo dei noli marittimi, la difficoltà a reperire container e i costi crescenti di energia e trasporti”. Insomma pur con tutte le cautele del caso (vedremo nel secondo semestre se il trend si confermerà con le produzioni primaverili-estive) possiamo dire che la squadra c’è, le imprese lavorano bene, la squadra funziona.
E’ vero che la distanza con la Spagna si allarga sempre di più (fa 3-4 volte più di noi) ma - per tornare al calcio - quelli giocano in un altro campionato: noi siamo in Europa League, loro in Champions. Dobbiamo cercare di resistere, continuare a far bene al nostro livello.
E i problemi legati alla competitività delle imprese sono tutti lì, ancora davanti a noi, irrisolti. Costo del lavoro, difficoltà crescenti a reperire manodopera qualificata in campo e nei magazzini, sconvolgimenti climatici/fitopatie che mettono in ginocchio interi comparti, lo strumento dell’assicurazione contro le calamità e perdite di reddito tutto da riformare, l’apertura di nuovi mercati che fa un passetto avanti e due indietro. In più gli aumenti dei prezzi dei materiali, degli imballaggi, di energia-trasporti-logistica, dei noli marittimi… da qualche parte bisogna cominciare.
Leggo con piacere che il ministro Patuanelli è consapevole della gravità e urgenza dei problemi. All’apertura di Macfrut ha parlato di tre sfide: “Gestione del rischio, sostegno alle imprese con interventi pubblici e soluzioni assicurative volte a sostenere il reddito agricolo, prima di pensare all’indennizzo, poi riforma fiscale: non possiamo non iniziare dal costo del lavoro in agricoltura”. Concetti rafforzati da un’intervista a fine settembre con “Milano Finanza” in cui ribadisce la necessità di tagliare il cuneo fiscale e inserire un salario minimo nella legge di bilancio. E di usare 1,2 miliardi dei contratti di filiera “per potenziare gli interventi di protezione e diversificazione del reddito agricolo, l’organizzazione di filiera e gli strumenti di gestione del rischio”.
Contiamo che non siano parole al vento. E che siano impegni da “mettere a terra”, come si dice, già alla prossima riunione del Tavolo ortofrutticolo nazionale al ministero, in programma in ottobre. E’ora che questo Tavolo decolli, che si esca dal limbo delle chiacchiere e si concordi una agenda di priorità, su cui lavorare da subito. E che di conseguenza gli impegni entrino nella legge di bilancio 2022, nero su bianco.
Finora l’ortofrutta non ha avuto niente (o quasi) dai ristori e dalle agevolazioni fiscali/contributive legate alla pandemia con la scusa che “in ortofrutta si è sempre lavorato”. Sarà una Finanziaria espansiva, promette Draghi, bene. Speriamo che arrivi finalmente qualcosa di concreto anche per l’ortofrutta, che sul tavolo della ripresa porta numeri di export che forse nessuno si aspettava. Altrimenti tra produzioni che si perdono e riforme che non arrivano (e Farm to Fork sullo sfondo), la ripresa arriverà solo per quei Paesi che aumenteranno le vendite delle loro produzioni a casa nostra. La politica deve dare un segnale al settore, e il settore deve presentarsi coeso all’appuntamento.
Infine una buona notizia. Si è sbloccato lo stallo al vertice di OI-Ortofrutta Italia, l’organismo interprofessionale, dopo le dimissioni di Nazario Battelli. Al suo posto Massimiliano del Core, imprenditore pugliese di grande dinamismo e professionalità. Come il Tavolo nazionale, anche per questa OI è arrivato il momento del decollo: ora o mai più. E’ uno strumento troppo importante per limitarsi a vivacchiare, a fare il piccolo cabotaggio di qualche campagna promozionale per questo o quel prodotto e nient’altro. Gli accordi di filiera, l’interprofessione sono il futuro, non vanno boicottati, chi lo farà se ne dovrà assumere la responsabilità.
Ultimo ma non da ultimo il dibattito sulla Farm to Fork. Sempre nuovi studi allungano ombre su questa strategia, su cui il mondo produttivo resta molto critico. Il Copa-Cogeca chiede che la Commissione si esprima, senza più indugi. Su questa materia non si deve essere “né apocalittici né integrati”, ma cercare di ragionare.
*Direttore del Corriere Ortofrutticolo