Lo chiamano il miracolo del fico d'india e in effetti si sta rivelando tale per migliaia di contadini peruviani e per il loro futuro. Nato nelle Americhe e da qui trapiantato anche in Europa, e nella nostra Italia, questo frutto ricoperto di spine e con una polpa gustosa e piena di semi fragranti, ha dimostrato di saper resistere a temperature torride e di aver bisogno solo di pochissima acqua per sopravvivere. Sui terreni aridi e pieni di sassi che precedono le Ande, ad altezze anche di 2 mila metri, da alcuni mesi i contadini peruviani hanno ripreso a coltivare quelli che in spagnolo si chiamano tunas, frutti che ornano le punte di particolari catctus e sbocciati da fiori bianchi, rossi e gialli.
El Pais svela il segreto scoperto dai contadini che lavorano quelle durissime terre. "Sebbene qui ci siano solo quattro mesi di piovisco, bruma e fredda rugiada - raccontano - a differenza di altre regioni impervie riusciamo a coltivare i tunas per tutto l'anno". Il merito è della pianta. E' in grado di assorbire poca acqua che la mantiene umida a lungo. Anzi, se ne riceve troppa finisce per marcire". La sua tolleranza all'arsura e alle torride temperature la rendono uno dei 50 alimenti del futuro che, secondo il WWF e la Knorr, aiuteranno a un'alimentazione più sostenibile per il mondo. Uno studio della Fao ha inoltre confermato che il fico d'india è in grado di restaurare le terre degradate, conservare l'acqua e ridurre l'emissione di anidride carbonica nell'atmosfera.
Nella regione di Laca Laca, tre ore di auto a sud di Lima, ben il 90 per cento dei 15 ettari di terreno coltivati oggi sono ricoperti da ciuffi di catctus. Lo Stato ha voluto premiare lo sforzo di queste 40 mila famiglie contadine creando un fondo, il Sierra e Selva Alta, che oggi sostiene l'attività. I soldi vengono usati con la saggezza tipica dei piccoli coltivatori che hanno pensato bene di costruire un serbatoio d'acqua più grande di quello già esistente e che funziona con l'elettricità piuttosto che il carburante. Non è solo più economico ma inquina di meno. La corrente aziona le pompe che succhiano l'acqua raccolta nelle stagioni della pioggia e irrorano i boschetti di fichi d'india. "Qui - raccontano al quotidiano spagnolo - abbiamo subito le inondazioni della corrente del Niño che negli ultimi anni, a causa dei cambiamenti climatici, si è abbattuto con forza. Ci sono stati smottamenti e frane, molta terra è stata portata via per opere di costruzione e alla fine è arrivato anche il Covid. Abbiamo dovuto smettere di coltivare, abbandonare i raccolti, ridurre al minimo la commercializzazione. L'unico aspetto positivo della pandemia è stato il ritorno nei campi dei nostri fratelli, cugini e amici emigrati in città".
Secondo l'Istituto Grade e la Banca Interamericana di Sviluppo (BID) questa migrazione al contrario ha interessato 218 mila persone. Gente rimasta senza lavoro a Lima e in altri grandi centri e costretta a tornare nei villaggi di origine per riuscire quanto meno a mangiare. La terra anche qui ha salvato molte persone e ha dato loro l'occasione di ricominciare. I fondi pubblici e i diversi finanziamenti non sono tuttavia in grado di sostenere un settore fondamentale per la sopravvivenza della popolazione. Se non si coltiva non si mangia. Il vertice mondiale dell'Onu che si terrà giovedì prossimo è dedicato proprio a questo tema che con il cambiamento climatico è diventato impellente. In Perú, ricorda el Pais, l'83 per cento dell'alimentazione si sostiene con la produzione interna che a sua volta dipende, nella sua totalità, sulla popolazione contadina.
Durante la pandemia, l'associazione Laca Laca ha sollecitato un nuovo finanziamento per mettere in pratica tutte le proposte avanzate con il successo della coltivazione del fico d'india. C'è chi ha pensato ai derivati, tipo gelati, formaggi, marmellate, fino allo stesso ceviche e ai fritti. Ma si tratta di verificare la sostenibilità delle coltivazioni e il sole gioca un ruolo decisivo. Si è pensato a installare pannelli per generare energia da sfruttare per le pompe dei serbatoi d'acqua. Ma anche all'acquisto di un macchinario che toglie lo strato di spine che avvolge ogni frutto. Finora si faceva con le scope rigide o a mano, con spessi guanti. Un lavoro faticoso e paziente che prende un sacco di tempo. Fino all'uso dei tunas che si guastano o non sono così belli da poter vendere nei mercati. Servono a nutrire le tilapia, una specie di pesce tipico dei Tropici. Anche questi sono allevati nella comunità di Laca Laca. A loro volta arricchiscono l'acqua che viene data ai cactus. Un ciclo naturale, come si è sempre fatto nei secoli.
da repubblica.it, 20/9/2021