È allarme miele. Nell’annus horribilis per il settore apistico — il peggiore di sempre — l’Italia ha gli alveari vuoti. Con un crollo della produzione vertiginoso, pari al 95 per cento in Toscana e in Emilia Romagna. Un dato allarmante — e una crisi senza precedenti — che in provincia di Siena, ad esempio, ha fatto saltare la settimana del miele di Montalcino. Mai accaduto in mezzo secolo di storia.
La Lombardia conta i danni: 30 milioni di euro, mentre in Sicilia e in Puglia la produzione è ai minimi storici. E dire che in questa stagione un alveare di miele di acacia produceva mediamente 20 kg di miele. Oggi siamo tra i 500 grammi e il chilo.
Da ricercarsi nella crisi climatica che, di fatto, al Nord e al Centro Italia ha compromesso le colture primaverili di tarassaco e ciliegio, con consistente ribasso della produzione di miele d’acacia. Al Sud il ritardo nelle fioriture ha invece pregiudicato la produzione di nettare, di cui le api si alimentano, tanto che molti produttori sono dovuti ricorrere alla nutrizione artificiale.
Altro allarme riguarda i magazzini di scorta che stentano a riempirsi. E le importazioni che tendono al ribasso, scendendo a 8.550.990 kg. La denuncia — fonte Ansa — arriva da un’analisi su dati Istat del primo semestre 2021 della Federazione Apicoltori Italiani (FAI) aderente a Confagricoltura. Che conferma «l’andamento su base annua del 2020, con l’import in calo nell’ultimo triennio e il miele straniero transitato alle nostre dogane ridotto da 27.874.961 a 22.303.640 kg (meno 20 per cento)».
Sempre secondo Fai, «l’85 per cento del miele acquistato da operatori commerciali e confezionatori italiani risulta di provenienza europea (UE a 27 Stati membri), ma non è detto che sia stato anche prodotto nei Paesi dichiarati d’origine. Metà di quello che mangiamo è miele che proviene dall’Ungheria, che si consolida come nostro primo partner commerciale».
Tra i Paesi europei si fa notare la Spagna, nostro secondo partner, che raddoppia l’export in Italia, sfiorando i 700.000 kg, per un controvalore di 1.840.255 euro, pari a 2,6 euro/kg. Crolla invece l’import dalla Cina, per ora confinata al terzo posto nella lista dei fornitori extra-europei di miele all’Italia; Ucraina e Serbia viaggiano su quantitativi superiori ai 314.070 kg del miele proveniente dalla Cina, nonostante il modico costo di 1,38 euro/kg.
Un quadro difficile da decifrare secondo FAI, e che potrebbe nascondere la pratica della nazionalizzazione di miele cinese venduto per europeo.
E una situazione che vede l’Italia stretta in una morsa. Con i nostri apicoltori che potrebbero essere costretti a competere in un mercato dove scarseggia la materia prima, i reali costi di produzione non vengono riconosciuti, si legittimano sistemi produttivi sleali se non addirittura illegali. Condizioni che, nel protrarsi di annate improduttive come quella del 2021, potrebbero innescare abbandoni di massa nel segmento dell’apicoltura da reddito.
Il settore ne è consapevole tanto che l’Associazione apicoltori Arezzo Siena e Grosseto (Asga) ha chiesto alla politica aiuti per «gli apicoltori che, non solo soffrono la mancata produzione di miele, ma dovranno provvedere al mantenimento delle api che non hanno sufficienti scorte per poter passare indenni l’inverno alle porte». Un appello, questo, che strizza l’occhio a tutte le associazioni delle categorie agricole «per un coinvolgimento più importante verso la salvaguardia del territorio e della sua meravigliosa biodiversità».
Obiettivo: «trovare sinergie per aiutare le api a sopravvivere e produrre impollinazione per il benessere fondamentale della campagna e delle sue colture».
da: Corriere.it, 15/9/2021