L’anno scorso, in piena pandemia, la nostra Accademia dei Georgofili ha promosso una giornata di studio in teleconferenza, specificamente sull’argomento del titolo dell’articolo di Paola Adragna del 9/2/2021. Ero fra gli intervenuti e per questo mi sento in dovere di commentare quanto scritto nell’articolo.
È vero che le grosse aziende di produttori zootecnici sono responsabili della produzione di una quota dei gas serra a livello globale, con tutto ciò che consegue, per cui ci dovremmo dare una smossa. Ma non è giusto indicare agli occhi dell’opinione pubblica gli allevamenti animali come i principali artefici dello scempio ambientale in atto nel pianeta.
Il rapporto FAO del 2019 indica il valore del contributo degli allevamenti alla produzione globale dei gas serra di origine antropica intorno al 14.5%, come correttamente indica l’articolista di “Repubblica”. I contributi relativi alle altre fonti antropiche sono, però, molto più rilevanti: il 38% per la produzione di energia da fonti non rinnovabili; il 26% da attività industriali di varia natura; il 18% dai trasporti terrestri, navali ed aerei e il 3.5% dalle altre attività.
D’accordo che sia necessario intervenire a livello globale per limitare le emissioni di gas serra, ma non è corretto puntare l’indice sempre e soltanto contro gli allevamenti animali, dal momento che i settori produttivi inquinanti sono anche altri. Semmai, scagliamoci contro le criminali pratiche illegali come la deforestazione selvaggia che, ricordiamolo, non serve solo a far posto ai pascoli, ma anche alle colture di palma da olio e cacao.
E poi, dobbiamo onestamente fare un “distinguo” riguardo alla natura del materiale di partenza: una cosa è immettere nuova CO2 in atmosfera a partire da una fonte fossile che prima della trasformazione si trovava nel sottosuolo, non in atmosfera, ben altra cosa è far produrre CO2 attraverso la digestione dei componenti organici degli alimenti vegetali da parte degli animali allevati. E gli alimenti vegetali, come ad esempio i foraggi, vengono prodotti per fotosintesi utilizzando l’energia solare a partire da CO2 non nuova, ma già presente in atmosfera.
Prendiamo gli esempi della produzione di energia in centrali a carbone (1) o della combustione interna di veicoli a motore (2 e 3): la CO2 è a destra della freccia, cioè è di nuova formazione in atmosfera. In più nel caso del metano e degli idrocarburi si forma anche acqua che, sotto forma di vapore, è il peggior gas serra poiché contribuisce al riscaldamento globale per più del 70%. In aggiunta a tutto ciò si toglie dall’atmosfera un bel po’ di ossigeno. Il bilancio dei gas serra in atmosfera è del tutto negativo: si perde ossigeno e si aumentano anidride carbonica ed acqua.
1.- Dal carbone fossile: C + O2 → CO2 + energia;
2.- Dal gas fossile (metano): CH4 + 2 O2 → CO2 + 2 H2O + energia
3.- Da idrocarburi fossili (ottano): C8H18 + 25 O2 → 16 CO2 + 18 H2O + energia
Nel caso, invece, degli allevamenti animali, questi convertono in carne e latte l’energia contenuta nei carboidrati (C6H12O6), strutturali e non, formati per fotosintesi, degli alimenti come i foraggi (4). La fotosintesi non costa energeticamente nulla, ma toglie CO2 e acqua dall’atmosfera e vi immette nuovo ossigeno.
4.- Fotosintesi nei foraggi: 6 CO2 + 6 H2O + energia solare → C6H12O6 + 6 O2
Purtroppo, i processi digestivi e metabolici della macchina animale, dovendo ricavare energia dal carburante alimento, producono gas di scarico sotto forma di CO2 (5) o metano (6), e acqua, consumando ossigeno.
5.- Digestione/metabolismo aerobico: C6H12O6 + 6 O2 → 6 CO2 + 6 H2O + prodotto animale
6.- Digestione enterica anaerobia: C6H12O6 + 12 H2 → 6 CH4 + 6 H2O + prodotto animale.
Il bilancio dei gas serra si può considerare chiuso in parità nel caso dei monogastrici (5). Nel caso dei ruminanti e dei grossi erbivori (6), invece, il bilancio è negativo perché il metano ha un effetto serra circa venti volte superiore a quello della CO2 e la digestione enterica produce anche acqua, anche se non consuma ossigeno. Comunque, poco in confronto con l’utilizzo delle fonti energetiche fossili, che incidono per più dell’80% sulla produzione globale di gas serra per le centrali elettriche, le attività industriali, i trasporti, la climatizzazione industriale, commerciale e domestica e quant’altro.
Tutto questo per arrivare a concludere che, d’accordo con il senso dell’articolo di Paola Adragna, è assolutamente necessario che i grandi della terra prendano al più presto provvedimenti per limitare la concentrazione dei gas serra in atmosfera. Ma non è giusto né corretto puntare il dito accusatore solo contro gli allevamenti animali strizzando l’occhio al veganismo.
In particolare, per quanto riguarda il settore dell’agricoltura, bisogna agire contro la pratica criminale della deforestazione selvaggia, attuata per far posto ai pascoli, alle colture di soia, palma da olio o cacao. Bisogna convincere le popolazioni dei paesi cosiddetti “ricchi” a consumare meno carne e latte, magari a favore dei paesi meno fortunati. Bisogna favorire l’impiego di alimenti proteici diversi dalla soia. Bisogna limitare i trasporti a lunga distanza di derrate e animali.
Ma bisogna, soprattutto, cercare di avere una visione d’insieme del problema: non si può, a mio avviso, affermare in un titolo di giornale che “i colossi della carne inquinano più della Germania e persino di Big Oil” quando nel testo si legge che le attività legate agli allevamenti pesano solo per il 14.5%.
D’accordo, cerchiamo di consumare meno alimenti di origine animale anche a vantaggio della nostra salute, ma cerchiamo anche di convertire le centrali elettriche a carbone verso le fonti rinnovabili e lo stesso vale per le attività industriali, cerchiamo di risparmiare energia in eccessi di riscaldamento e aria condizionata, evitiamo di usare la macchina per andare a comprare il giornale o accompagnare i figli a scuola. Limiteremo, così, anche l’inquinamento ambientale da gas tossici e particelle fini, veicoli pericolosi di malattie. Evitiamo di acquistare articoli e contenitori in plastica che, ricordiamolo, sono figli del petrolio, magari trasportato da petroliere che perdono il carico in un mare già inquinato da isole di plastica galleggianti.