Stiamo andando verso un clima sempre più caldo, caratterizzato da importanti cali delle precipitazioni e un'intensificazione degli eventi atmosferici estremi che già colpiscono i raccolti.
Se è vero che l'agricoltura usa il 70% dell'acqua potabile nel mondo (dati FAO) per irrigare i campi coltivati, allora è giusto che si aggiudichi il ruolo di protagonista nella gestione sostenibile della risorsa idrica. La sfida del futuro sarà quella di far fronte a sempre più lunghi periodi di siccità ed è necessario lavorare per ridurre gli sprechi di acqua nella gestione irrigua.
Tra le varie tecniche agronomiche da adottare in condizioni di limitate disponibilità idriche c’è l'aridocoltura.
L'aridocoltura o dry farming è un tipo di agricoltura che pratica il più razionale uso delle limitate risorse idriche disponibili. È utile soprattutto in ambienti aridi dove piove poco e le alte temperature e l'elevata intensità luminosa determinano perdite di acqua importanti. Inoltre, può essere praticata comunque anche in ambienti irrigui, quando le risorse idriche non sono sufficienti a soddisfare i fabbisogni delle colture.
I terreni che più si prestano a questo tipo di agricoltura sono quelli argillosi perché riescono molto bene a trattenere l'acqua rispetto a quelli sabbiosi dove l'unica è affidarsi a colture resistenti alla siccità.
L'aridocoltura si basa su tre principi di base:
- favorire l'aumento della disponibilità idrica per le colture attraverso opportune lavorazioni e sistemazioni del suolo;
- ridurre le perdite di acqua;
- utilizzare colture e tecniche di coltivazione adatte e idonee per una migliore utilizzazione delle risorse idriche disponibili.
Se acqua non ce n'è, come è possibile aumentare la risorsa idrica? Sembra un paradosso ma la soluzione è da cercare nel suolo, dove l'acqua è trattenuta. Basterà aumentare la porzione di terreno esplorabile dall'apparato radicale delle colture e incentivare l'immagazzinamento dell'acqua di pioggia e/o di irrigazione.
La presenza di strati superficiali impervi del terreno (ad esempio la crosta) impedisce alle radici di muoversi e approfondirsi facilmente. Inoltre, in caso di pioggia o violenti nubifragi, quando la portata supera la capacità di infiltrazione dell'acqua nel suolo, si può andare incontro a fenomeni di asfissia o ruscellamento superficiale. L'acqua non si accumula nel suolo e viene persa.
È qui che entrano in gioco le lavorazioni del terreno: attraverso la rottura degli strati impervi si incrementa la porosità e si aumenta la capacità d'invaso. L'aratura autunnale, per esempio, aiuta nell'immagazzinare acqua piovana nel suolo, mentre lavorazioni superficiali migliorano la struttura fisica del terreno e controllano le infestanti quando necessario.
In secondo luogo, per aumentare la disponibilità di acqua per le colture, è necessario garantire una buona capacità di ritenzione idrica del terreno. La chiave è la somministrazione e il mantenimento della sostanza organica, di cui molti suoli sono ormai impoveriti, attraverso letame, compost e sovescio. Questa garantisce la fertilità del terreno attraverso un buon equilibrio tra macropori e micropori; se nei primi c'è aria nei secondi c'è la riserva di acqua utilizzata per la crescita delle radici e dei microrganismi utili.
Garantita la riserva idrica nel terreno, lo step successivo dell'aridocoltura è proteggerla evitando inutili perdite per evaporazione dal terreno o traspirazione dalla pianta. A questo proposito è necessario ridurre o ricoprire le superfici interessate ai fenomeni di evapotraspirazione e contenere lo sviluppo delle infestanti quando entrano in competizione con la coltura.
Proteggere il terreno con materiale pacciamante limita l'energia solare che raggiunge la superficie e riduce l'evaporazione diretta. È una tecnica molto utile soprattutto nelle prime fasi colturali, quando il terreno è nudo.
I frangiventi sono una barriera per il vento costituita da alberi e siepi (frangiventi vivi) o materiale inerte (frangiventi morti). Frenando i movimenti di aria intorno alla vegetazione riducono l'evapotraspirazione.
L'ombreggiamento con reti ombreggianti limita la radiazione solare che intercetta la vegetazione. Le reti antigrandine, per esempio, riducono fino al 50% le perdite di acqua.
Il controllo delle malerbe serve a contenere la loro competitività nei confronti della riserva idrica soprattutto nelle fasi giovanili delle colture erbacee, nei primi anni di impianto delle specie arboree e durante le fasi fenologiche più critiche dal punto di vista della richiesta di acqua.
Si parla di controllo però e non eliminazione perché l'inerbimento in alcuni periodi dell'anno, per esempio in autunno e in inverno, intercetta molto bene l'acqua di pioggia, riduce il ruscellamento e facilita la sua infiltrazione negli strati più profondi del terreno.
Le lavorazioni superficiali, come ad esempio la sarchiatura, limitano sia la traspirazione perché controllano le piante infestanti che l'evaporazione perché modificano positivamente la struttura fisica del terreno e aumentano l'infiltrazione e il drenaggio dell'acqua. La sarchiatura, in particolare, rompe gli strati più superficiali e crea una leggera zollosità che ha un effetto pacciamante. Un terreno appena sarchiato si disidrata velocemente ma solo nello strato superficiale, mantenendo l'umidità negli strati sottostanti.
Il massimo risultato dell'aridocoltura si ottiene, infine, attraverso la scelta della coltura e delle tecniche colturali più idonee. Utilizzare specie, varietà e portainnesti aridoresistenti permette sicuramente di sfruttare meglio le risorse idriche naturali e risparmiare acqua.
Negli ambienti a clima mediterraneo, con estati caldo aride, vanno predilette colture a ciclo autunno primaverile, che sfruttano al meglio il periodo di pioggia in cui la domanda evapotraspirativa dell'ambiente è anche minima. Invece tra le colture a ciclo primaverile estivo vanno scelte piante con apparato radicale ben sviluppato ed espanso.
Tra le colture erbacee più resistenti alla siccità ci sono il frumento duro (più resistente rispetto a quello tenero), l'orzo e l'avena precoce; tra i legumi il cece, la fava e la lenticchia sono più resistenti del pisello e del fagiolo. Per l'orticoltura si prediligono piante come cipolla, aglio, spinacio e patata, quelle più svantaggiate sono sicuramente le cucurbitacee e le solanacee che comunque riescono a crescere bene in presenza di terreni ben lavorati.
Piante arboree come vite e olivo sono le più resistenti. A queste si aggiungono il mandorlo, il fico, il pistacchio e il carrubo.
L'aridocoltura è sicuramente una tra le pratiche colturali più antiche ma non è detto che non sia moderna. Innanzitutto, è attuale: le precipitazioni in molte parti del mondo, anche in Italia, non sono più sufficienti a soddisfare i fabbisogni idrici delle colture, l'acqua è limitata e contesa con uso domestico e industrie.
In Italia ben il 20% della superficie è a rischio desertificazione: parliamo degli ambienti meridionali e insulari, dell'Italia Centrale, dell'Emilia-Romagna e dei rilievi. L'aridocoltura deve necessariamente essere studiata di pari passo ai cambiamenti climatici e ai fenomeni di desertificazione che avanzano. Senza dimenticare tutte le altre tecniche di risparmio idrico come l'irrigazione di precisione, la water harvesting (raccolta dell'acqua) o l'utilizzo delle acque reflue. L'obiettivo finale deve essere quello di implementare queste tecniche e garantire le migliori produzioni anche in presenza di ridotte risorse idriche, uno scenario che si manifesterà con sempre più probabile nei prossimi anni.
Fonte: Agronotizie, 29/7/2021
(Autore: Vittoriana Lasorella)