Di recente, mi sono vaccinata contro il Covid al Museo della Scienza di Londra, una location decisamente appropriata. Subito dopo aver srotolato la manica, mi sono seduta per un brunch – e celebrare così l’occasione – in un caffè, le cui proposte erano orgogliosamente contrassegnate come “senza OGM”. Tutto ciò mi ha fatto riflettere. Dopo essermi messa in coda per farmi inoculare un vaccino sviluppato geneticamente, venivo incoraggiata a rifiutare con sdegno l’idea di avere alimenti geneticamente modificati nel mio piatto.
Mi sono domandata se tutto ciò avesse senso. I vaccini BioNTech e Moderna dimostrano quanto velocemente la nostra capacità di sequenziare e interrogare il genoma stia trasformando la medicina. Le nuove tecniche di editing genomico potrebbero trasformare anche l’agricoltura, e svolgere un ruolo fondamentale nel combattere il cambiamento climatico, ma continuano a essere ampiamente evitate, in quanto creerebbero i cosiddetti “Frankenfoods”. A febbraio, il supermercato Coop ha confermato il divieto di ingredienti geneticamente sviluppati nella sua linea di prodotti, in risposta alle preoccupazioni concernenti la possibilità che il governo inglese voglia rendere più facile l’editing genomico dopo la Brexit. In base alle disposizioni normative dell’Unione Europea, nessuna coltura geneticamente modificata o prodotta con editing genomico può essere piantata a fini commerciali senza una lunga valutazione del rischio e l’approvazione dello stato membro. L’allentamento di tali restrizioni consentirebbe l’introduzione di tecniche per combattere le malattie e coltivare colture con rese più elevate per sfamare il mondo. La banana Cavendish, mia omonima, offre un’utile illustrazione. Qualche volta, ho mostrato ad alcuni amici, con orgoglio mal riposto, la sua varietà nana ai Kew Royal Botanic Gardens. La varietà Cavendish domina la produzione mondiale, ma è oggi sul punto di essere spazzata via da un nuovo ceppo della malattia di Panama, un fungo che ha già ucciso l’unica altra banana che assomigliava e che aveva il sapore della Cavendish, la Gros Michel. In alcuni paesi, dove gli agricoltori fanno affidamento su queste colture per guadagnarsi da vivere, la situazione è disperata: la Colombia ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale ad agosto del 2019, quando la malattia di Panama è stata scoperta nelle sue piantagioni di banane. Con i pesticidi che non sono in grado di combattere il fungo, sembra che l’unico modo per salvare la banana Cavendish sia alterarne il genoma. In Australia, i ricercatori hanno creato banane geneticamente modificate “transgeniche”, inserendo un gene contenuto in alcune banane selvatiche, che potrebbe aiutare le piante a resistere al fungo. In Gran Bretagna, l’azienda Tropic Biosciences sta editando il genoma della Cavendish usando la tecnologia CRISPR per eliminare i geni che la rendono vulnerabile. Una modifica genetica di questo tipo sembra innaturale. Ma la stessa banana Cavendish è innaturale, allevata come un clone per rendere ogni generazione geneticamente identica.
In realtà, quasi niente di ciò che mangiamo è davvero “naturale”: ogni coltura e ogni animale che consumiamo deriva da secoli di selezione. Quando si tratta di cibo, siamo portati a credere che “naturale” sia meglio di “innaturale”. Ma le cose sono più complesse. Le patate e qualche altro ortaggio contengono tossine che potrebbero essere letali, se non le gestissimo, eliminandole, o evitando le parti ammuffite. Le colture biologiche vengono coltivate usando pesticidi come il solfato di rame, che è tossico nonostante sia presente in natura.
La modificazione genetica certamente sembra spaventosa – perché comporta l’inserimento di altro DNA, anche se si tratta solo di un gene in più, rispetto alle decine di migliaia di geni della pianta. L’editing genomico, al contrario, mira a specifici geni per accelerare cambiamenti che richiederebbero anni, utilizzando la coltivazione selettiva. Il fatto che l’Unione Europea abbia trattato entrambe le tecniche con lo stesso rigore, come ha fatto dal 2018, non sembra giusto. I ministri sembrano intenzionati a facilitare la possibilità di effettuare prove sul campo e ad avere l’approvazione commerciale per piante e animali ottenuti attraverso l’editing genomico, il che porterebbe l’Inghilterra più in linea con gli Stati Uniti, e un annuncio è atteso a breve. Ma dovrebbero spingersi oltre?
Con il cambiamento climatico che si profila come la prossima grande minaccia, deve essere affrontata l’enorme impronta di carbonio dell’agricoltura. L’ingegneria genetica offre la possibilità di porre fine alla dipendenza da fertilizzanti che utilizzano combustibili fossili, e di rendere le colture più resilienti. Ci consentirà di progettare riso per produrre meno metano, e di coltivare carne in laboratorio, il che ridurrebbe drasticamente il numero di animali allevati in modo intensivo. Per trasformare l’agricoltura e ridurne l’impatto, abbiamo bisogno di entrambe le tecniche. Perché la modificazione genetica può ancora fare cose che l’editing genomico non può fare.
In Gran Bretagna, il Rothamsted Research sta testando piante di Camelina geneticamente modificate per esprimere lo stesso tipo di oli Omega-3 presenti nel pesce. Il “Golden Rice” è una coltura geneticamente modificata con l’aggiunta di geni necessari alla produzione di beta-carotene, nel tentativo di fargli fornire più vitamina A. Sebbene una carenza di vitamina A causi cecità in molte parti del sud-est asiatico, molti paesi della regione continuano a essere riluttanti ad adottare qualcosa che sembra così bizzarra.
La regolamentazione è fondamentale, perché ci sono molte legittime preoccupazioni. Le colture o le piante selvatiche locali possono subire una contaminazione incrociata? Gli insetti potrebbero essere colpiti? Cos’è sicuro? La tecnologica della modificazione genetica è ancora messa in ombra dai tentativi degli anni novanta, di alcune aziende americane, di creare dei monopoli, vincolando, in modo permanente, gli agricoltori poveri alle loro sementi. Ma la regolamentazione deve essere intelligente. La Royal Society ha invitato il governo inglese a regolamentare tutte le nuove varietà vegetali e animali in base alla sicurezza e alle caratteristiche dei nuovi prodotti creati, non in base alla tecnica utilizzata per apportare il cambiamento. Tutto ciò sembra sensato. Negli anni novanta, ho sostenuto ambientalisti che si opponevano agli OGM. Oggi, gli scienziati con i quali parlo sembrano abitare un mondo diverso rispetto ai tempi del “giardinaggio atomico”, quando alcuni fanatici irradiavano le piante per indurre delle mutazioni, e vi erano timori di “pomodori assassini” incrociati con pesci.
Spiegare i veri compromessi all’opinione pubblica sarà un grande lavoro. Ma personalmente, preferirei mangiare una versione leggermente alterata di banana Cavendish, piuttosto che non mangiarne mai più una.
[articolo di Camilla Cavendish (ex direttrice del Number 10 Policy Unit e Harvard senior fellow) dal “Financial Times”, 8 giugno 2021]
da: Agrapress, Rassegna della stampa estera n. 13884, 24/6/2021