Chi ha il diritto di chiamare, in esclusiva, il proprio riso «basmati»? È sfida aperta tra India e Pakistan, che da mesi lottano per vedere riconosciuto dall’Ue il marchio Igp (Indicazione Geografica Protetta) su un prodotto legato al loro storico patrimonio culturale, il basmati, e per scoprire chi dei due sarà autorizzato a vendere con questo nome nell’Unione Europea questo tipo di riso tanto apprezzato dai consumatori. L’India ha depositato presso la Commissione Europea una domanda di Indicazione Geografica Protetta che, se accolta, garantirebbe l’uso esclusivo del nome Basmati nell’Ue. Ma il Pakistan, unico altro Paese esportatore al mondo di questo riso aromatico a chicco lungo e fine coltivato ai piedi dell’Himalaya, si è subito opposto.
La candidatura indiana (la richiesta è stata pubblicata nel settembre 2020 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue) crea dei grossissimi problemi al Pakistan, che rischia di perdere un importante mercato di esportazione, e ha alimentato la storica rivalità tra le due potenze nucleari nate dalla spartizione del 1947.
Il Pakistan è il 4° esportatore di riso al mondo, con 4,5 milioni di tonnellate esportate nel 2019, per un valore di 2,2 miliardi di dollari (1,8 miliardi di euro), secondo le Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). L’India è prima con 9,7 milioni di tonnellate e 6,8 miliardi di dollari. L’Ue importa circa 300.000 tonnellate di basmati all’anno, dicono i dati della Commissione europea, due terzi di origine pakistana e un terzo indiana. Particolarmente adatto a piatti popolari come il biryani o il pilaf, il basmati è diventato molto popolare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, negli ultimi due o tre decenni. Il Pakistan ha notevolmente aumentato le sue esportazioni di basmati verso l’Ue negli ultimi tre anni, sfruttando le difficoltà dell’India nell’adattarsi agli standard europei più severi sui pesticidi.
L’Igp istituisce un diritto di proprietà intellettuale per i prodotti le cui caratteristiche sono legate al luogo geografico in cui avviene almeno una fase del suo processo di produzione, trasformazione e preparazione. Si differenzia dalla Denominazione di Origine Protetta (Dop), per la quale tutti questi passaggi devono avvenire in un’area geografica delimitata. I prodotti registrati in questo modo sono legalmente protetti contro l’imitazione e l’uso improprio all’interno dell’Ue: e possono quindi essere venduti a un prezzo più elevato. E naturalmente il Pakistan ritiene di avere lo stesso diritto dell’India di utilizzare il nome basmati.
I due Paesi devono ora negoziare per cercare di trovare un accordo amichevole, come previsto dalla procedura europea, ma le discussioni non sono ancora iniziate. Il periodo di consultazione è stato prorogato «fino a settembre 2021» su richiesta dell’India.
Intanto, dopo anni di rinvii, a gennaio, il governo pakistano ha registrato con urgenza il nome Basmati come indicazione geografica nel proprio territorio, prerequisito per qualsiasi azione davanti all’Ue. E ha annunciato che avrebbe fatto lo stesso con il sale rosa dell’Himalaya e altri prodotti che adesso vuole proteggere. Nelle ultime settimane però sono emersi piccoli segnali di riavvicinamento tra i due Paesi, che nel 2019 erano sull’orlo di una nuova guerra. Il Pakistan vuole ora convincere l’India a presentare una «domanda congiunta» a nome del patrimonio comune di basmati. Se non si trovasse un accordo e l’Ue scegliesse di dare l’ok all’India, il Pakistan potrebbe sempre rivolgersi alla giustizia europea o presentare a sua volta la propria candidatura. Ma ci vorrebbe qualche anno prima che l’Ue lo esamini e l’industria pakistana del riso nel frattempo avrebbe dei forti contraccolpi.
da Corriere.it, 9/6/2021