Da un vitigno unico al mondo, salvato dalla furia della marea, a Venezia si produce un vino sicuramente di 'nicchia' e molto particolare per il contatto con l'acqua salmastra. Il frutto di questa 'agricoltura eorica' praticata in un isolotto della laguna è stato presentato in questi giorni.
Quando si parla di Venezia e di acqua alta a molti viene in mente la data del 1966 quando si registrò nella laguna la marea record di 194 centimetri sul medio mare. Le immagini di quella devastante 'aqua granda' sono ancora oggi impresse nella memoria collettiva di tutti i veneziani. Ma assieme ai danni provocati a monumenti, abitazioni, negozi, mosaici quella marea si portò via definitivamente la quasi totalità degli orti e coltivazioni diffusi ancora nelle aree più remote della laguna. In passato Venezia era infatti una città ricca di orti, vigneti, frutteti e la stessa piazza San Marco fino al 1100 era un grande giardino con coltivazioni di ogni tipo (non è un caso se ancora oggi le "piazze" e "piazzette" veneziane si chiamano "campi").
A Mazzorbo, un'isoletta tra Murano e Burano che oggi conta poco più di 200 abitanti, esisteva anche un vigneto. Di quel vigneto e di quel vitigno, la Dorona, si perse praticamente tutto nel 1966. Resistettero alla furia dell'acqua solo poche vigne che, incredibilmente, nonostante rimasero immerse per giorni nell'acqua salata, ripresero a vivere e a produrre. In questi giorni è stata presentata l'annata 2016 del Venissa bianco, ad oggi uno dei vini bianchi più apprezzati e costosi, frutto del progetto visionario (e quasi folle) di Gianluca Bisol che nel 2002 decise di ridare vita a quell'ettaro scarso di vigneto, unico luogo del mondo, in cui ancora oggi esiste la Dorona.
"Uno non si aspetta che nella laguna possa esserci un vitigno – spiega Matteo Bisol, direttore di Venissa - in realtà qui si trova una perfetta simbiosi tra il vitigno e il proprio terroir, tra la Dorona e la laguna e quella del 2016 possiamo dire essere un'annata perfetta". E simbiosi non a caso è proprio il nome dato all'annata.
Si parla spesso di "agricoltura eroica" in riferimento alle coltivazioni su pendii scoscesi o in condizioni estreme e di certo un vino prodotto da un vigneto in parte distrutto nel 1966, in un'isola dove a soli 80 centimetri di profondità si incontra già acqua salmastra, inondato regolarmente da costanti acque alte (l'ultima in ordine di tempo quella del 2019) può sicuramente fregiarsi di quel titolo. Ma anche la lavorazione è particolare. "La maturazione lenta delle uve viene fatta sulle bucce come una volta perché a Venezia per ovvi motivi non c'erano cantine sotterranee - ha proseguito Matteo Bisol - e quindi i vini dovevano essere più forti e protetti e la macerazione era l'unico modo naturale per farlo".
da: Agi.it, 5/6/2021