Recentemente ha fatto molto scalpore una notizia riportata da diversi organi di comunicazione secondo la quale l’Unione Europea vorrebbe proporre l’allargamento delle tipologie di vini su cui concedere la possibilità della dealcolizzazione, ammettendo anche che nell’operazione possa essere aggiunta dell’acqua. C’è stata, ovviamente, una levata di scudi da parte del mondo enologico italiano, difensore da sempre dei valori legati alla tradizione e alla territorialità dei prodotti. Come spesso accade un approfondimento e qualche riflessione possono aiutare a inquadrare meglio la questione, senza che semplificazioni eccessive facciano apparire la Comunità Europea come fautrice di pratiche per ingannare i consumatori. Occorre anche evitare di dichiararci contrari, a prescindere, a pratiche che invece, con approcci adeguati, potrebbero essere ragionevoli e vantaggiose.
La dealcolizzazione è stata ammessa dall’OIV (Organization International de la Vigne et du Vin) tra le pratiche correttive con una risoluzione del 2012 (OIV-OENO 394A-2012), che la descrive come un “procedimento che consiste nel sottrarre una parte o la quasi totalità dell’etanolo contenuto nel vino”, con l’obiettivo di ottenere prodotti di origine vitivinicola a ridotto o basso contenuto alcolico. Dietro questa apertura c’era la necessità di assecondare il mercato dei prodotti dealcolati, che interessa alcuni paesi per ragioni culturali o religiose, ma anche la necessità di tener conto di una tendenza all’aumento del grado alcolico dei vini. Tale fenomeno è dovuto a diversi fattori tra cui le pratiche agronomiche volte ad aumentare la concentrazione di metaboliti secondari nelle uve (polifenoli, sostanze caratterizzanti l’aroma varietale), la selezione del materiale di propagazione che privilegia cloni poco produttivi per migliorare la qualità, in ultimo, ma non meno importante, il cambiamento climatico che ha visto negli anni recenti estati molto calde, che favoriscono la concertazione degli zuccheri, oltre che degli altri componenti. I produttori manifestano preoccupazione non solo perché il titolo alcolometrico elevato può rappresentare un freno al consumo, ma anche perché crescono i pericoli di arresti di fermentazione o di fermentazioni anomale che portano a vini difettosi o alterati. Il tema è quindi molto sentito e le soluzioni da proporre non sono facili. Incrementare la produzione per pianta o sfavorire una ottimale maturazione non appaiono soluzioni ragionevoli, perché porterebbero a vini meno equilibrati e riconoscibili, ai quali i consumatori non sono più interessati.
L’abbassamento del tenore zuccherino di partenza o la parziale sottrazione di alcol dal vino sono quindi argomenti che possono essere di interesse anche per vini espressione del territorio, quindi anche per DOP o IGP.
Per realizzare la dealcolizzazione possono essere adottate tecniche di separazione singole o combinate: evaporazione parziale sotto vuoto, tecniche di membrana, distillazione.
Attualmente la dealcolizzazione è già ammessa nella zona UE ed il regolamento 934/2019, che integra il 1308/2013, prescrive che il trattamento di correzione del tenore alcolico miri a ridurre un tenore eccessivo di etanolo del vino, al fine di migliorarne l'equilibrio organolettico e indica precise prescrizioni che ne limitano l’applicazione: i vini trattati non devono presentare difetti organolettici e devono essere idonei al consumo umano diretto; l'eliminazione dell'alcole dal vino non può essere eseguita se su uno dei prodotti vitivinicoli utilizzati nell'elaborazione del vino è stata eseguita una delle operazioni di arricchimento; il tenore alcolico può essere ridotto al massimo del 20 % e il titolo alcolometrico volumico effettivo del prodotto finale dev'essere conforme a quello definito dai regolamenti comunitari; il trattamento è effettuato sotto la responsabilità di un enologo o di un tecnico qualificato e deve essere indicato nel registro dei trattamenti di cui all'articolo 147, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1308/2013.
Nella primavera di quest’anno In occasione dei negoziati relativi alla riforma della Politica Agricola Comune, in riferimento al Regolamento Ocm 1308/2013, nel trilogo (riunione congiunta di commissione, consiglio e parlamento UE) è stato riproposto il tema della dealcolizzazione dei vini, proponendo in particolare che la pratica possa essere estesa ai vini DOP e IGP e che possa essere “ristorata” la parte di acqua che si perde con la dealcolizzazione. Occorre infatti considerare che con le tecniche di separazione a membrana non si separa alcol puro, ma una miscela di acqua e alcol, che porta a una riduzione del volume superiore a quello teorica raggiungibile sottraendo alcol. Quando si parla di ristoro dell’acqua sottratta, probabilmente, non si intende portare il vino al volume originale prima della dealcolizzazione, ma ripristinare solo l’acqua di vegetazione sparita insieme all’alcol. Il tema delicato è quale acqua utilizzare? Sarebbe davvero deplorevole immaginare che si consenta usare acqua potabile perché si contravverrebbe al principio della genuinità che, come detto, è un vessillo fondamentale dell’enologia italiana. Certo sarebbe meno scandaloso se l’acqua fosse recuperata separandola dalla miscela idroalcolica per distillazione, o se si potesse usare acqua tolta dai mosti nella preparazione di mosti concentrati, un prodotto della filiera enologica importante e di cui l’Italia è senz’altro un leader. Queste acque sarebbero entrambe acque di vegetazione derivanti dall’uva, quindi eticamente molto più accettabili. Certo ci vorrebbero controlli serrati per evitare abusi e speculazioni, ma tecnicamente sarebbe una operazione possibile e non lesiva della qualità.
I produttori italiani, attraverso le loro organizzazioni, faranno certamente sapere qual è il loro pensiero che, al momento, sembra essere contrario alla dealcolizzazione per i prodotti DOP e IGP ed anche al ristoro dell’acqua. Ferma è anche la richiesta di non chiamare vino i prodotti completamente dealcolati. Posizione legittima e difensiva della tradizione, vale però la pena raccomandare un momento di riflessione per evitare che per nostra scelta si escluda per i produttori italiani una possibilità commerciale che potrebbe essere invece ammessa per altri, come capitò qualche anni fa con i chips di legno, che, solo in Italia, non sono consentiti sui vini DOP, posizione poco comprensibile visto che sono invece ammessi i tannini da quel legno estratti.
Riferimenti bibliografici
Regolamento (UE) N. 1308/2013 del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio
REGOLAMENTO DELEGATO (UE) 2019/934 DELLA COMMISSIONE del 12 marzo 2019 che integra il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le zone viticole in cui il titolo alcolometrico può essere aumentato, le pratiche enologiche autorizzate e le restrizioni applicabili in materia di produzione e conservazione dei prodotti vitivinicoli, la percentuale minima di alcole per i sottoprodotti e la loro eliminazione, nonché la pubblicazione delle schede dell'OIV
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