Più di cento anni fa Patrick Geddes, biologo, sociologo e urbanista scozzese, affermò che “La città non è un luogo nello spazio ma un dramma del tempo” (Cities in evolution, 1915). Ai nostri giorni il suo ammonimento sembra purtroppo caduto nel vuoto tanto che dalle megalopoli siamo passati addirittura alla costruzione di mega regioni o super città, e ora molti si chiedono se, dopo la pandemia da coronavirus, la qualità di vita nelle città non subirà un ulteriore peggioramento.
Alcuni però, in controtendenza, sostengono che gli agglomerati urbani offriranno migliori condizioni, una volta che tutto questo stravolgimento delle nostre esistenze sarà finito. Per esempio alcuni Stati, come l’Irlanda, stanno cercando di incentivare lo smart working anche per rivitalizzare i piccoli centri distanti dalle grandi città allo scopo di decongestionarle e limitare gli spostamenti che, ricordiamo, sono la maggior fonte (almeno nei centri abitati) di emissioni di CO2. E per una volta tutti sono finalmente concordi sul fatto che oggi abbiamo bisogno di vere città “verdi”. Era ora. Ma cosa è una città “verde”?
La domanda, apparentemente banale, non ha in realtà una risposta scontata: Edo Ronchi, su questa testata, definì nel 2018 la green city come “un modello di città - sperimentato e affermato a livello europeo e internazionale - che punta sulla elevata qualità ambientale in tutti i suoi principali aspetti, decisivi anche per la qualità dell’aria, non come obiettivi isolati e circoscritti, ma come parti di un ampio disegno di rigenerazione e riqualificazione urbana, con attenzione anche alle implicazioni economiche, occupazionali e sociali”.
Una definizione sicuramente corretta, ma io ritengo che alcuni termini debbano essere meglio definiti: la prima considerazione da fare è che ormai il termine “città” generalmente si riferisce a un’area metropolitana molto ampia. Ad esempio, “Milano” rappresenta la grande area metropolitana che circonda la città, non solo quella compresa nei confini comunali. Lo stesso vale per altri grandi agglomerati nelle diverse parti del mondo, come Chicago, Londra, Tokyo, San Paolo, ecc. Un’area metropolitana è infatti costituita da una zona centrale contenente un consistente nucleo di popolazione e dalle comunità adiacenti che hanno un elevato grado di integrazione economica e sociale con quel nucleo.
Concentrarsi dunque sulle “aree metropolitane” ha oggi molto più senso perché la maggioranza delle persone e dei posti di lavoro si trova lì (oltre il 50% a livello mondiale, 70% in Europa), fuori dal “centro”. Definire e costruire una metropoli “verde” diventa allora un compito molto impegnativo.
Oltre ad avere un’aria più pulita, le città verdi devono stimolare anche “comportamenti verdi” come, ad esempio, l’uso del trasporto pubblico, e il loro impatto ambientale sarà relativamente basso, fino, in alcuni casi, ad arrivare vicino allo zero.
Ma può questa definizione di città verde tradursi in indicatori oggettivi della qualità dell’ambiente urbano? A questo proposito esistono diversi metodi di valutazione. Partiamo dal punto di vista degli ecologisti che sottolineano con forza l’importanza delle dimensioni dell’impronta ecologica di una città: questo approccio si concentra su quanto le persone consumano e quanta anidride carbonica viene prodotta. Gli esperti di salute pubblica invece si concentrano sulle conseguenze per la salute derivanti dall’esposizione agli inquinanti dell’aria, dell’acqua, e di altri fattori ambientali che favoriscono l’insorgenza di patologie. Sulla base di questo approccio, una città è considerata verde se l’incidenza di malattie legate a problematiche ambientali è relativamente bassa.
Infine, molti economisti valutano l’ambiente urbano esaminando le differenze di prezzi degli immobili nelle diverse città con diverso grado di “verde”, partendo dall’ipotesi che il prezzo degli immobili risenta della presenza o meno di un determinato bene ambientale. In base a questo principio se i prezzi delle case sono molto più alti nella città X (verde) rispetto a Y (grigia), questo suggerisce che la gente preferisce vivere a X, e lo fa, almeno in parte, per la sua qualità ambientale superiore.
Ogni diverso approccio valutativo ha i suoi vantaggi e svantaggi, e può portare a conclusioni assai differenti circa la qualità dell’ambiente urbano. Ad esempio, alcune città vantano bassi livelli di inquinamento locale e un’alta qualità della vita, ma generano livelli relativamente elevati di gas serra. Sono dunque lo stesso “città verdi”? La risposta a questa domanda dipende da quale priorità si dà alle sfide urbane locali, (leggi “smog”), rispetto alle sfide globali a lungo termine, (leggi “cambiamenti climatici”). Questo impasse può essere affrontato proponendo la combinazione di indicatori diversi per creare una valutazione omogenea delle varie “città verdi” del pianeta; anche se al momento mancano i dati necessari per la costruzione definitiva di un tale indice valutativo, intanto porsi queste domande aiuta a chiarirci le idee, su quel che intendiamo quando diciamo che una città è “verde”.
La mia personale opinione è che una città verde dovrebbe segnare un punteggio elevato a livello sia locale che globale. E che, oltre a godere dei benefici di aria pulita e acqua, gli abitanti di un agglomerato urbano dovrebbero sempre evitare di far pagare l’inquinamento legato alle merci e ai servizi utilizzati alle persone che vivono oltre i confini della città. Per correggere il danno ecologico causato dalla odierna città “grigia”, dobbiamo imparare a pensare “ecologicamente”. Dobbiamo pensare e progettare le città come dei sistemi viventi che consumano, si trasformano e rilasciano materiali ed energia; si sviluppano e si adattano; interagiscono con gli esseri viventi e con altri ecosistemi.
Le città dunque devono essere gestite e protette come qualsiasi altro ecosistema. Attraverso il ripensamento della progettazione urbana, dell’architettura e della pianificazione dei trasporti, possiamo trasformare le nostre città e i paesaggi urbani in “ecosistemi urbani”, in prima linea nella mitigazione dei cambiamenti climatici e nell’adattamento agli stessi. Si creano così anche nuove opportunità di lavoro, potenziando il mercato per le nuove tecnologie e l’architettura del paesaggio: una città è, quindi, un ecosistema umano in un paesaggio.
Quello che è certo è che la “città verde” non può rimanere solo un insieme di idee astratte, portatili, stereotipate. La città verde si trova in un luogo particolare, che costituisce il territorio di attività della nostra vita; la sua topografia e le caratteristiche naturali formano potenti contenitori percettivi per la nostra presa di coscienza.
da: huffingtonpost.it, 19/4/2021