Idrolizzati proteici in agricoltura: se sì, con moderazione!

di Silverio Pachioli
  • 31 March 2021

Le piante assorbono dal suolo sia azoto inorganico (ammonio e nitrato) che azoto organico (amminoacidi, peptidi, proteine e altri composti contenenti N)  (Torgny Näsholm, Knut Kielland , Ulrika Ganeteg, 2009).
Il trasporto di amminoacidi da cellula a cellula è di tipo attivo secondario (non dipende direttamente da ATP, ma sfrutta la differenza di potenziale creata dai trasportatori primari che pompano ioni fuori della cellula) e mediato da simporti specifici AA/H* (Reinhold et Kaplan, 1984; Li et Bush, 1990).




Gli idrolizzati proteici sono prodotti contenenti una miscela di aminoacidi e peptidi solubili ottenuti generalmente per idrolisi chimica, enzimatica o mista di proteine di origine animale o vegetale; presentano naturalmente caratteristiche chimiche diverse a seconda dell’origine della materia prima e del processo di produzione (G. Colla et al., 2015-L’informatore Agrario).
Possono avere attività biostimolanti, migliorare l’assorbimento e l’assimilazione dei nutrienti (es. azoto nitrico e ferro), la tolleranza a stress ambientali (salinità, siccità, temperature estreme) e la qualità del prodotto (maggiore contenuto di antiossidanti, più elevato livello di proteine, minore contenuto di nitrati); possono agire, inoltre, da elicitori stimolando le risposte endogene di difesa della pianta agli stress. Il loro utilizzo nel campo della fertilizzazione in Europa risale al 1968.
Attualmente, il mercato europeo degli idrolizzati proteici è rappresentato per oltre il 90% da prodotti di origine animale ottenuti prevalentemente per idrolisi chimica del collagene ad alte temperature in ambiente fortemente acido o alcalino, mentre gli idrolizzati di origine vegetale, ottenuti mediante l’impiego di specifici enzimi e basse temperature, sono ancora poco diffusi.
Diversi studi (Ruiz et al., 2000 ; Cerdán et al., 2009 ; Lisiecka et al., 2011 ) riportano che le applicazioni fogliari ripetute di prodotti commerciali a base di idrolizzati proteici di origine animale possono causare fitotossicità e rallentamenti della crescita delle piante; nessuna fitotossicità e riduzione della crescita sono state osservate, in genere, nelle piante dopo applicazioni fogliari di amminoacidi di origine vegetale ( Cerdán et al., 2009).
Questo fenomeno, noto come “inibizione generale o specifica da amminoacidi” (Y. Rouphael et al., 2019-Biostimolanti per un’agricoltura sostenibile. Ed. L’Informatore Agrario-Vr), può manifestarsi con ingiallimenti, necrosi della vegetazione, arresti di crescita, più evidenti in caso di trattamenti ripetuti e a dosaggi elevati.
La depressione della crescita causata dagli idrolizzati di proteine di origine animale sembra essere correlata al loro contenuto più elevato in amminoacidi liberi (in particolare amminoacidi di piccole dimensioni come glicina e prolina) e sostanze saline (ad es. NaCl) rispetto agli idrolizzati proteici di origine vegetale.
Le cause, ancora non completamente chiarite, richiamano interferenze su diversi processi biochimici e fisiologici delle piante, in particolare a seguito di reazioni di feedback.
Fra quelle riportate in bibliografia si citano:
1) Interferenza degli amminoacidi nell’assorbimento radicale dei nitrati (riduzione dell’assorbimento).
2) “Costo” energetico del loro trasporto nella pianta (consumo di energia metabolica).
3) Alterazioni dei naturali rapporti amminoacidici cellulari con possibili risvolti negativi su vie metaboliche fondamentali.
5) Possibile ruolo nelle risposte immunitarie delle piante (azione pro-apoptotica) con conseguente induzione di fenomeni di senescenza anticipata.
6) Effetti ormono-simili di alcuni particolari amminoacidi (alterazioni morfofisiologiche).
Oltre alla sintesi proteica, il metabolismo degli amminoacidi nelle piante è anche strettamente legato al metabolismo energetico e dei carboidrati, al bilancio carbonio-azoto, al metabolismo ormonale e secondario, alle risposte allo stress, ecc.
Le piante, contrariamente agli animali, sono in grado di sintetizzare tutti gli amminoacidi utilizzando l'ammonio e gli intermediari del metabolismo dei carboidrati. La sintesi degli amminoacidi è, quindi, intimamente legata all'efficienza di assorbimento dell'azoto e all'attività fotosintetica. Alcuni enzimi implicati nella biosintesi degli amminoacidi hanno dimostrato di essere regolati positivamente o negativamente dai prodotti finali. Di conseguenza, la crescita della pianta o della cellula può essere inibita dall'applicazione esterna di un amminoacido che può comportare un effetto di feedback negativo: questo amminoacido inibisce l'attività di una via biosintetica determinando l'esaurimento degli altri amminoacidi prodotti dalla stessa via.
L'inevitabile conseguenza dell’inibizione enzimatica a feedback negativo (inibizione enzimatica retroattiva da prodotto finale) è la tossicità di molti amminoacidi per le cellule (Bonner et al ., 1992 , 1996 ; Bonner e Jensen, 1997) e lo sviluppo delle piante (Voll et al. , 2004 ; Lee et al., 2007 ; Pratelli e Pilot, 2007 ; Pratelli et al. , 2010). Ad esempio, integrare le piante con eccessive dosi di lisina e treonina inibisce l'attività dell'aspartato chinasi (AK), della via dell’aspartato, “affamando” la pianta di Metionina e riducendo, così, la crescita.
Alcuni amminoacidi possono ridurre/inibire (feedbaack negativo) l’attività della nitrato reduttasi con conseguente riduzione nell’assimilazione dei nitrati. È stato suggerito che il ciclo degli amminoacidi tra i germogli e le radici serve a fornire le informazioni necessarie sullo stato di N dell'intera pianta, consentendo alle radici di regolare, di conseguenza, l'assorbimento di azoto (Cooper e Clarkson, 1989 ; Muller e Touraine, 1992). Anche l’attività della nitrogenasi può essere influenzata negativamente dall’eccesso di amminoacidi; il sistema della nitrogenasi è regolato sia a livello dell’attività enzimatica (feedback negativo da prodotto) che a livello dell’espressione genica (Muller et al., 1995).
Le considerazioni sopra descritte sono solo alcune delle possibili “interferenze” di idrolizzati proteici nei processi metabolici delle piante.
Solo studi accurati ed un uso oculato di questi prodotti potrà, in futuro, permettere di sfruttare, in modo corretto, le potenzialità di queste sostanze nel campo della nutrizione vegetale.