La vita dell’uomo è stata caratterizzata dalla sua costante ricerca di cibo, sino a quando la scoperta dell’agricoltura gli ha fornito gli strumenti per soddisfare questa primaria esigenza.
Malgrado ciò sia accaduto più di diecimila anni fa, ancor oggi quasi un miliardo di umani patiscono la fame, le vicende del clima sembrano non offrire loro soluzioni semplici e a portata di mano. Eppure anche gli imperi antichissimi (Sumeri, Accadi, Faraoni, Romani e Cinesi) adottarono, ciascuno con tecniche diverse, politiche che consentissero ai sudditi rispettivi di sfamarsi, specie se abitanti nelle città.
Molto di recente, grazie allo sviluppo della rapidità delle comunicazioni anche nel campo delle merci, si sono stipulati accordi multilaterali (Marrakech 1994) per liberalizzare la circolazione delle merci, ridurre i dazi in modo da favorire lo sviluppo della “specializzazione” della produzione dei vari prodotti in certe parti del mondo (mascherine in Cina, cellulari in USA e in Corea, automobili in Germania ecc.).
Ma le recenti vicende del Covid 19 hanno dimostrato che, malgrado trattati multilaterali, contratti, impegni fra privati e fra governi, nella crisi si può bloccare la circolazione di prodotti ritenuti essenziali, come le mascherine e i reagenti per tamponi. E questo rischio potrebbe dare origine anche a crisi alimentari in paesi industrializzati ricchi che hanno rinunciato ad una agricoltura che garantisca l’autosufficienza alimentare.
La globalizzazione è apportatrice, certamente, di vantaggi, anche se il suo governo richiederebbe un approccio diverso: infatti, se nell’XIX secolo aveva un senso uno stato come l’Italia, la Francia e persino il Portogallo e Malta, dato che i collegamenti avevano un raggio efficiente di scarsa postata, oggi la terra si è, di fatto, rimpicciolita e i problemi che la interessano sono globali non solo dal punto di vista commerciale ma, cosa ancora più importante, ma da quello climatico, alimentare e sanitario, come l’attuale situazione sta a dimostrare.
Un virus può mettere in ginocchio l’intera umanità, i cambiamenti climatici stanno già mostrando effetti devastanti mentre una crisi alimentare, che è già presente a un settimo degli umani potrebbe ampliarsi in modo sorprendente a causa del peggiorare degli affetti climatici.
Occorre, dunque, un sistema di governance di questi eventi che coinvolga tutti gli stati del mondo, o almeno i principali.
Fra i provvedimenti che sarebbe opportuno considerare ve ne sono alcuni fondamentali, che coinvolgono l’agricoltura, destinata probabilmente ad una cambio importante di scopo rispetto a quello che l’ha originata.
Occorrerà arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e co2, alla sostituzione della carne con prodotti di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla, ad una massiccia rivalutazione dei boschi e della loro coltivazione in zone aride, in zone artiche o in altissima montagna per incarcerare co2, allo sviluppo di coltivazioni erbacee modificate per produrre non solo carboidrati, ma anche vitamine e proteine; insomma, ci dobbiamo avviare verso una nuova rivoluzione agricola dove allo scopo ambientalistico si affiancherà anche lo scopo produttivistico: l’uomo non abbatterà più alberi per estendere le superfici coltivate e destinate a pascoli, ma incentiverà l’arboricoltura e alcune coltivazioni erbacee, ridurrà drasticamente l’allevamento di animali dando origine ad una nuova agricoltura, più efficace dal punto di vista ambientale ma anche meglio adatta alla coincidenza del settore primario con la sopravvivenza del genere umano, tentando di diminuite la sua invasività e di ricostruire un pianeta capace di sopportare la nostra pressante presenza.
Articolo completo (PDF): Lo storico problema dell’alimentazione la sicurezza degli approvvigionamenti, la food sovereignty e la nuova agricoltura.pdf