Nella scorsa primavera, con l'attenuarsi delle restrizioni sul Coronavirus in tutto il mondo, molti di noi si sono riversati nei parchi per una passeggiata rigenerante, per prendere un po’ d’aria fresca ma, soprattutto, per riprendere quel contatto, anche solo visivo, con la natura.
Ritemprarsi nella natura rappresenta una necessità per «staccare», anche se temporaneamente, dal ritmo e dalle condizioni in cui conduciamo le nostre vite alle quali gli stili di vita della società contemporanea impongono ritmi pressanti. Già nel Seicento, il matematico, fisico, filosofo e teologo francese Pascal (cui è stata intitolata l’unità di misura della pressione) scriveva: «Quando mi sono messo talvolta a considerare le diverse agitazioni degli esseri umani e i pericoli e le pene a cui si espongono (…) ho scoperto che tutta l’infelicità degli esseri umani deriva da una sola cosa e cioè non saper restarsene tranquilli in una stanza…». Nel nostro caso potremmo dire «tranquilli in un parco».
Quante volte abbiamo infatti pensato o parlato, o udito parlare e letto delle problematiche «urbane» e dei possibili rimedi ai mali, concludendo, invariabilmente, che essi rappresentano logiche conseguenze o inevitabili concomitanze di situazioni da cui, tuttavia, otteniamo molti vantaggi? Quante volte, dunque, tutto ciò ci è parso praticamente irrimediabile?
Tuttavia, soprattutto nelle grandi città con periferie trasformate in dormitori privi di servizi e aree per svago, le condizioni di vita, non solo socioeconomiche, potrebbero influenzare notevolmente i paesaggi che le persone trovano durante queste passeggiate, in particolare la quantità di verde che è probabile che vedano e della quale possono realmente fruire.
La correlazione tra copertura arborea urbana e reddito è ben documentata nelle città di tutto il mondo. Questo è spesso il sottoprodotto della disuguaglianza storica: le decisioni sulle infrastrutture prese decenni fa, comprese quelle sulla creazione di aree verdi, hanno beneficiato (ingiustamente) soprattutto i quartieri ricchi. Ciò continua ad avere un impatto sui servizi forniti oggi ed è un fattore di «disequità economica e sociale attuale e futura (chiedo scusa per l’uso di questo neologismo, ma non è lo stesso di disuguaglianza, spesso usato al suo posto). In questo contesto assumono rilevanza le «foreste urbane» per i vantaggi che esse forniscono alle persone, il che significa che la loro presenza o assenza può contribuire creare effetti diversi in termini di salute, ricchezza e benessere generale.
Ma cosa succederebbe se la realizzazione «strategica» di aree verdi potesse aiutare le città a combattere le disequità e contribuire a ripensarle dopo il Covid-19? Le città possono e devono affrontare in modo proattivo la disuguaglianza nella pianificazione dei nuovi spazi verdi per rendere gli ambienti più equi e migliorare la vita dei residenti (Ferrini, 2020; Ferrini e Gori, 2020).
È stato più volte detto che le città devono affrontare sfide importanti per la qualità della vita e per la gamma di opportunità che gli ambienti urbani possono offrire ai loro residenti e non c’è alcun dubbio che le aree metropolitane sono, e saranno sempre più, i motori della crescita economica e ospitano e ospiteranno la maggior parte dei posti di lavoro. Svolgono, inoltre, un ruolo chiave nella creazione di nuove idee, come centri di innovazione economici, industriali e della conoscenza. Allo stesso tempo pongono tutta una serie di problemi ambientali determinati dall’inquinamento, dalle isole di calore urbano e devono affrontare le difficoltà causate dalla coesione sociale, dalla gentrificazione, ecc. La coesione sociale coinvolge le dinamiche interpersonali e il senso di connessione tra le persone. Una maggiore coesione sociale può essere associata a vari benefici per la salute fisica e psicologica e la presenza di spazi verdi urbani può incoraggiare interazioni positive che coltivano la coesione sociale in modi che migliorano la salute e il benessere (Jennings et al., 2019).
In questo contesto gli individui e i gruppi sociali affrontano sfide uniche e richiedono diversi livelli di supporto in base alle loro esigenze specifiche. L’espansione e la protezione degli spazi verdi pianificati e progettati senza tener conto della necessità di raggiungere l’equità sociale possono peggiorare le disuguaglianze spaziali e sociali e rafforzare la mancanza di accesso delle comunità emarginate ai benefici che i parchi urbani forniscono.
La realizzazione e la manutenzione di infrastrutture verdi – come parchi, aree verdi fluviali, aree boscate e alberature stradali – possono comportare costi elevati che le comunità potrebbero non essere in grado di permettersi. Inoltre, le differenze nella rappresentanza politica delle comunità e negli interessi economici delle città per attirare residenti e turisti ricchi possono influire sul processo decisionale negli spazi verdi pubblici ed è necessario trovare soluzioni che evitino la gentrificazione di alcuni quartieri, cioè il progressivo cambiamento socioculturale di un’area urbana da proletaria a borghese a seguito dell’acquisto di immobili, e loro conseguente rivalutazione sul mercato, da parte di soggetti abbienti.
Inoltre, gli spazi verdi urbani possono creare barriere alla parità di accesso quando non sono progettati con un obiettivo esplicito per soddisfare le esigenze di gruppi svantaggiati, includendo in questi persone con disabilità, anziani, bambini e altri gruppi emarginati, ma anche il genere. Il tipo, la densità e il mantenimento della vegetazione influenzano infatti il modo in cui si sentono sicuri gli utenti del parco può variare in base al sesso (le donne sono più facilmente vittime di reati quali violenza fisica e sessuale), all'età, alla razza e allo stato socioeconomico.
Quando gli spazi verdi urbani sono distribuiti in modo diseguale, lo sono anche i vantaggi che forniscono. I residenti a basso reddito hanno maggiori probabilità di vivere in quartieri più caldi ed essere esposti a livelli più elevati di inquinamento atmosferico rispetto a quelli che vivono in aree più ricche, spesso a causa del minor numero di servizi ecosistemici forniti dalle aree verdi. Hanno anche maggiori probabilità di subire gli impatti delle ondate di calore sulla salute e gli effetti delle inondazioni delle acque piovane rispetto alle loro controparti nei quartieri più ricchi e più verdi.
Studi recenti hanno anche mostrato una correlazione tra l’aumento dell’inquinamento atmosferico e tassi di mortalità più elevati da Covid-19. Le foreste urbane, se progettate correttamente, possono aiutare a migliorare la qualità dell’aria, dimostrando la necessità di un’equa distribuzione degli alberi urbani per evitare di rafforzare le disuguaglianze nella salute e nel benessere dei cittadini.
Gli spazi verdi possono contribuire a rendere i quartieri a basso reddito meno vulnerabili ai rischi climatici e sanitari abbassando le temperature locali, migliorando la qualità dell’aria e mitigando le inondazioni e avere altre esternalità positive che possono essere particolarmente importanti nei quartieri scarsamente serviti, come fornire aree per il tempo libero e la vita della comunità, creare strade più sicure e vivibili e ridurre i costi energetici degli edifici associati soprattutto al condizionamento estivo.
Gli spazi verdi urbani possono essere dunque uno strumento prezioso per creare condizioni di parità per le comunità svantaggiate in un'ampia gamma di contesti, inclusi i benefici economici e sanitari, maggiore sicurezza e resilienza agli eventi calamitosi. Per raggiungere questo obiettivo, i progetti che mirano a migliorare lo spazio verde urbano per essere realmente equi devono avere il consenso delle comunità.
Articolo originale: https://www.machina-deriveapprodi.com/post/la-foresta-urbana-strumento-di-equit%C3%A0-sociale