Stiamo attraversando un periodo in cui le prospettive si confondono e la stessa vita quotidiana propone riflessioni su questioni che sembravano accantonate. Commentando un incontro organizzato dalla Società Agraria di Lombardia sul tema “Quale agricoltura dopo il coronavirus?” sottolineavo il ruolo che quattro concetti tutti caratterizzati dall’iniziare appunto per “i” –ovvero “impresa”, “innovazione”, “intensificazione sostenibile” ed “informazione”- avrebbero avuto (o dovuto avere) per assicurare una sollecita ripresa. Anche più di recente, presentando la ristampa anastatica dello storico volume “Quaranta quintali di latte per anno e per vacca” le stesse considerazioni si sono presentate con una aggiunta. Ovvero che vi è un pericolo da cui dobbiamo guardarci, se vogliamo davvero riconquistare la normalità, le prospettive di sviluppo e le stesse libertà fondamentali, rappresentato da un altro concetto che inizia per “i”: l’ideologia, che coi suoi pregiudizi, con le sue affermazioni apodittiche, coi suoi “voli pindarici” e con le sue elucubrazioni spesso avulse dalla realtà e contrarie al buonsenso rischia di determinare guasti anche peggiori e più duraturi di quelli procurati dalle avversità.
Il pericolo rappresentato dalle derive ideologiche, antiscientifiche, tecnofobiche e persino “pauperistiche” incombe da tempo sul futuro e sull’esistenza stessa della nostra agricoltura. La delicatissima fase politica che stiamo attraversando, con la concomitanza di numerosi processi decisionali (dalla definizione della Politica Agricola Comunitaria per i prossimi anni, alla sua declinazione a livello nazionale con il PSN, passando per le applicazioni normative derivanti da discusse e discutibili indicazioni “strategiche”, come quelle contenute nella comunicazione “Farm to Fork”) rendono particolarmente insidioso il rischio che l’ideologia prevalga e si imponga laddove servirebbero serietà, razionalità, competenza e pragmatismo.
Le dinamiche che caratterizzano il quadro di politica agraria italiana (al quale la parziale “rinazionalizzazione” delle politiche europee delega importanti momenti decisionali) portano alla nostra attenzione le vicende legate alla formazione del nuovo governo, tra cui si segnalano l’istituzione di un non meglio definito “ministero per la transizione ecologica” e l’assegnazione al sen. Patuanelli della poltrona di titolare del MIPAAF.
Benché l’agricoltura non appaia tra i primari ambiti d’intervento del neonato ministero dai contorni piuttosto indefiniti, gli agricoltori, i tecnici e gli studiosi responsabili non possono che guardare con interesse ad eventuali scelte politiche che riportino al centro dell’attenzione le reali problematiche “ecologiche” con cui ogni giorno dobbiamo confrontarci. Dal degrado e dall’abbandono del nostro territorio (storicamente modellato dal lavoro dell’uomo, e dell’uomo agricoltore in particolare) reso fragile anche da politiche improntate ad un “ambientalismo” di facciata avulso dalla realtà, al contrasto verso l’introduzione di specie aliene e pericolose per la stessa incolumità pubblica, alla necessità di valorizzare le “bioenergie” o di gestire razionalmente le risorse idriche, e via dicendo. Tutto passando per l’imprescindibile bisogno di incrementare e non ridurre la conoscenza, di potenziare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, specie in settori quali quelli delle nuove tecnologie su cui la “vecchia” Europa ed il nostro Paese rischiano di “perdere un treno” di fondamentale importanza anche in funzione della tutela dell’ambiente.
Al tempo stesso gli agricoltori, i tecnici e gli studiosi avveduti non possono che guardare con preoccupazione al pericolo che l’ideologia riesca ad occupare la scatola –per ora apparentemente vuota- del nuovo “ministero per la transizione ecologica”, facendone uno strumento per politiche “pauperistiche”, improntate alla “decrescita infelice” o peggio ancora alla “vendetta” sociale ammantata di “verde”.
Suscita preoccupazioni, anche per la distanza dal mondo agricolo che ne caratterizza il curriculum, la nomina del nuovo responsabile del Ministero agricolo. La complessità della fase storica che stiamo attraversando consiglierebbe di puntare –oggi più che mai- su competenza, efficienza e razionalità. Doti in cui la nostra classe politica non ha purtroppo dimostrato in tante circostanze –anche recentissime- particolare brillantezza. Il timore che l’ideologia possa inquinare il quadro decisionale su cui il Ministero di via XX Settembre sarà chiamato ad operare serpeggia nelle nostre campagne, unitamente alla preoccupazione per le conseguenze che ne potrebbero derivare circa la “sostenibilità” tecnica, economica ed ambientale delle nostre produzioni agro-zootecniche, e per le potenziali ricadute sulla sicurezza alimentare di cui una società apparentemente “opulenta” sembra non percepire la valenza strategica.
L’auspicio è che il nuovo Ministro sappia porre la conoscenza, la competenza e la razionalità al centro della sua delicata missione, e che accetti il confronto costruttivo con le componenti del mondo agricolo che propugnano le richiamate quattro “i” propositive (impresa, innovazione, intensificazione sostenibile, informazione) e non l’ideologia distruttiva e sterile. Con coloro che –come recita lo storico motto dei Georgofili “prosperitati publicae augendae” promuovono il progresso dell’agricoltura e delle scienze nella società. E lo fanno senza pregiudizi, dando spazio al dialogo ed alla costruttiva libertà di pensiero.