La tesi di Adele Brand, studiosa britannica nel campo dell’ecologia ambientale, secondo cui "all’interno di un ecosistema ogni estinzione è come un anello di una catena che si rompe", è certamente condivisa dal team di ricercatori dell’Università di Stanford, California, che ha appena presentato uno studio sulle conseguenze del ritiro dei ghiacciai sulla biodiversità vegetale e sugli habitat proglaciali. La prospettiva del rischio di estinzione di alcune specie della flora alpina è un altro campanello d’allarme collegato ai cambiamenti climatici. Un ruolo chiave nella realizzazione di questo studio lo ha avuto Gianalberto Losapio, ricercatore di Como, laureato in scienze naturali all’Università di Milano, un dottorato di ricerca all’Università di Zurigo presso il Dipartimento di Biologia Evoluzionistica e Studi Ambientali.
Attraverso documenti geologici e l’osservazione di 117 specie e delle condizioni ambientali locali, Losapio e i suoi colleghi hanno appurato che la riduzione dei ghiacciai sta mettendo in pericolo la flora autoctona di montagna. Il 44% delle specie montane è a rischio di estinzione.
"Le conseguenze di un fenomeno globale sono misurabili e percepibili a livello locale – sottolinea Losapio - l’impatto della scomparsa dei ghiacciai sarebbe un disastro per tutte le specie e componenti terrestri e acquatiche. Non dobbiamo dimenticarci che i ghiacciai sono l’acqua che beviamo e anche quella che utilizziamo nell’agricoltura. Potrebbero innescarsi delle estinzioni locali a cascata, dove la scomparsa delle piante pioniere sarebbe seguita da quella degli altri organismi ad esse associate, come i diversi insetti impollinatori ed erbivori, i funghi e i microrganismi del suolo, nonché i loro predatori e parassiti. Più le piante e i loro partner sono rari e specializzati, maggiore è il rischio di estinzione".
In esame sono stati presi quattro ghiacciai delle Alpi: quelli della Vedretta d’Amola nel Parco Adamello Brenta, del Trobio nelle Alpi Orobie, della Vedretta di Cedec nel gruppo Ortles-Cevedale e del Rutor in Valle d’Aosta. Quest’ultimo, come ha recentemente segnalato sul suo blog il fotografo e ambientalista Luca Fontana, "discende da un dolce pendio dai 3500 metri della Testa del Rutor e si sta ritirando a una velocità impressionante".
da Repubblica.it, 10/2/2021