Il Burian è un vento gelido che durante la stagione invernale soffia sulle lande siberiane e le steppe del Kazakistan verso gli Urali o le pianure sarmatiche della Russia europea con raffiche che possono raggiungere i 100 km/h, accompagnate da tormente di neve che portano drastiche riduzioni di visibilità, aumentando così di molto la sensibilità al freddo. Questo particolare evento rimane generalmente confinato alla Russia o al più all'Europa Orientale ma, in alcuni casi, può far la sua comparsa anche in Italia. Ricordiamo, ad esempio, gli eventi del 1996, 2006, 2012 e, in ultimo, quello del febbraio/marzo 2018.
Sulla base delle ultime analisi meteorologiche sussiste la possibilità dell’arrivo del Burian in Italia attorno a metà del mese di febbraio.
Nel 2018 i riflessi sull’olivicoltura (perdita di foglie, lesioni sui rami di 1-2 anni, danni alle branche o all'intero albero, mancata produzione, ecc.) interessarono numerose regioni, fra le quali Emilia Romagna, Toscana e Umbria, Marche, Abruzzo e Campania, Puglia. In alcuni casi il Burian si è spinto fin sulle coste, come accaduto per alcune aree delle province di Grosseto e Livorno ma, soprattutto, nella Sabina.
L’olivo può resistere a temperature di alcuni gradi sotto lo zero grazie al meccanismo di adattamento della “sopraffusione”, che permette all’acqua cellulare di rimanere allo stato liquido per diversi gradi sotto lo zero evitando, così, la formazione di ghiaccio intracellulare. Le temperature inferiori a 0°C determinano un arresto dell’attività clorofilliana, con danni irreversibili alle foglie intorno a -5°C/-8°C, e filloptosi. I minimi termici non sono facilmente determinabili, dipendendo la loro azione da vari fattori: durata della bassa temperatura, precedente adattamento fisiologico della pianta, stadio vegetativo, cultivar, ecc. Secondo Caruso la più bassa temperatura invernale, affinché non produca gravi inconvenienti sulla pianta, non deve scendere al disotto di -7°C/-8°C, od anche più, e non deve prolungarsi oltre 8-10 giorni (A. Morettini, Olivicoltura). Fra gli interventi colturali hanno sicuramente importanza preventiva le corrette concimazioni, irrigazioni, epoche e severità degli interventi di potatura. Ridurre notevolmente l’apparato fogliare, già in autunno, può significare diminuire l’accumulo di sostanze di riserva fondamentali per l’adattamento della specie alle basse temperature invernali; inoltre, la chioma, se ben compatta, può svolgere naturalmente un effetto “protezione” o “barriera” verso le gemme in differenziazione.
Le piante impiegano diversi meccanismi adattativi per sopravvivere ai vari stress abiotici (freddo, siccità, elevate temperature, ecc.). Uno di questi è la produzione di osmoprotettori, composti a basso peso molecolare, noti collettivamente per il loro effetto di mitigazione sugli stress abiotici. Nelle piante sono una strategia evolutiva fondamentale e ben organizzata per sopravvivere in ambienti ostili. Data la loro importanza nella sopravvivenza dei vegetali, questo argomento è considerato di grande interesse nella fisiologia delle piante e nella biologia molecolare. Il loro accumulo varia con la specie, la cultivar, le condizioni ambientali e nutrizionali.
Gli osmoliti o “osmoprotettori” sono soluti compatibili a basso peso molecolare. Tra i più noti si possono citare alcuni amminoacidi (es. prolina, ectoina, glutammato), composti dell’ammonio quaternario (glicinbetaina, betaina), polioli (sorbitolo, mannitolo), zuccheri (trealosio, saccarosio, fruttani) e alcuni polialcoli a basso peso molecolare (glicoli). Questi composti vengono maggiormente sintetizzati ed accumulati in condizioni di stress nel citosol, anche in grandi quantitativi, senza interferire con le strutture e le funzioni cellulari (“soluti compatibili”). Contrariamente agli ioni inorganici, che comportano effetti negativi sulle cellule vegetali ad alte concentrazioni, gli osmoprotettori, come soluti compatibili, hanno la capacità di mantenere la pressione del turgore cellulare, alleviando la tossicità ionica e sostituendo i sali inorganici (Szabados et al. 2011 ).
Il meccanismo generale d’azione degli osmoprotettori sarebbe legato all’aggiustamento osmotico del potenziale dell’acqua nella cellula (Ψ0). Altre possibili funzioni sono: a) abbassamento del punto crioscopico; b) stabilizzazione delle proteine; c) riserva di carbonio, azoto e potere riducente per alimentare il metabolismo delle piante nelle fasi di stress; d) stabilizzazione di complessi proteici plastidiali; e) attività di “scavenger” dei ROS; f) attivazione di vie anaboliche o cataboliche specifiche (es. utilizzo di riducenti, come ad es. il NADPH, per ripristinare uno stato redox cellulare ottimale e/o per la rigenerazione di cofattori ossidati); g) possibile attivazione di geni correlati alla difesa sotto vari stress (Wani et al. 2018 ); h) possibile stabilizzazione delle membrane del tilacoide, con conseguente upregulation della fotosintesi (Alam et al. 2014) ecc. (Sheen et al., 1999; ). Inoltre, si ritiene che gli osmoprotettori facilitino la regolazione osmotica in presenza di acqua limitata al fine di fornire acqua alternativa nelle reazioni biochimiche e regolare il potenziale osmotico interno e le strutture macromolecolari (Parida e Das 2005).
Grazie alla loro struttura possono formare ponti idrogeno con l’acqua riducendone l’attività. Provocano una parziale disidratazione della cellula evitando così la formazione di cristalli di ghiaccio intracellulari durante le fasi di scongelamento; infatti, aumentano la concentrazione dei soluti extracellulari creando così un gradiente osmotico che richiama acqua all’esterno della cellula. In tal modo, la cellula si riduce di volume prima del congelamento e questo rappresenta una condizione per evitare la formazione di cristalli di ghiaccio.
Complessivamente, l’utilizzo degli osmoprotettori si è rivelato, ad oggi, uno degli approcci più promettenti per conferire resistenza a stress abiotici ( P. Bagnaresi e al., 2004).
Nel 2018, in occasione dell’evento climatico legato al Burian, sono state effettuate in Abruzzo prove sull’utilizzo di alcuni osmoprotettori come mezzi per limitare i danni in olivicoltura. Sono stati utilizzati composti a base di prolina, mannitolo e glicinbetaina e un nuovo formulato contenente alcuni polialcoli a basso peso molecolare. Tutti i prodotti sono stati applicati per via fogliare 3-4 giorni prima degli eventi climatici. In tutti gli appezzamenti trattati sono stati rilevati minori filloptosi e danni sui rametti e una più rapida ripresa vegetativa post-evento. Letture effettuate mediante apparecchiatura portatile NDVI hanno permesso di rilevare valori medi superiori sulle piante trattate (0,7-0,8 contro valori di 0,5-0,6).
Si ritiene interessante considerare l’applicazione di osmoprotettori come strategia da abbinare a corrette pratiche agronomiche per ridurre i possibili danni da freddo in olivicoltura. Risulta altresì fondamentale valutare il possibile ingresso del batterio della rogna in ferite da freddo/gelo e, di conseguenza, programmare una corretta gestione della difesa che deve prevedere, oltre i consueti trattamenti rameici, anche possibili “nuovi” induttori di resistenza.
(Foto M. A. Contreras)