Pane composto "per tornagusto e delizia"

Del Pan Pepato, del Panforte e di altre leccornie

di Lucia Bigliazzi, Luciana Bigliazzi
  • 09 December 2020

“Un pane nella composizione del quale entri zucchero, droghe, burro, latte, uova, frutti preparati, e simili cose che lo rendono dolce, o molto saporito, non è praticato che per delizia, tornagusto, e lusso, essendo in primo luogo troppo dispendioso per farne un uso continovo; secondariamente mangiandolo solo, e mangiandone a sazietà, non riuscirebbe sano, ma incomoderebbe, e sturberebbe lo stomaco”.
Con queste parole Saverio Manetti apriva una lunga enucleazione delle varietà del cosiddetto “pane composto”, che costituisce materia dell’Articolo VI del suo corposo trattato Delle specie diverse di frumento e di pane siccome della panizzazione (1765).
Prossimi alle festività natalizie gli scaffali dei negozi e supermercati abbondano di leccornie e dolci, molti dei quali tipici di questo periodo e di antica storia; anche Manetti ne trattava, soffermandosi in particolare sugli ingredienti necessari alla loro preparazione: uova, birra, burro, latte, zucchero, scorze di cedri e agrumi canditi, “le droghe tutte ma particolarmente il pepe, la cannella, e la noce moscada”, uve passe, croco, semi di coriandolo, carvì, comino, finocchio, uva fresca, fichi secchi, mandorle, nocciuole, pistacchi, noci.
“Molte di queste insieme unite, e diversamente per la dose combinate, entrano in quella sorte di pane che da noi si chiama Pane impepato”: ottimo quello prodotto a Siena, ma altrettanto noto per la sua bontà quello di Buonconvento: “un tal pane è di gusto squisito, ma caloroso assai a motivo delle molte droghe che si fanno entrare nella sua pasta”.
Se ne produceva “del simile” anche a Firenze, ma di qualità assai inferiore a quello di Siena e del suo territorio; tre le qualità, annotava Manetti: la sopraffina, la mezzana e l’inferiore. La prima, chiamata pane aromatico o pane di spezierie, oltre a prevedere ingredienti di miglior qualità, veniva impastata con zucchero bollito e chiarito e coperta con una pasta di marzapane “in varie fogge lavorata” e ghiacciata con zucchero. La mezzana era lavorata “più dozzinalmente” e nella sua preparazione entravano ingredienti non molto scelti, impastati semplicemente con miele, farina, uve passe e droghe. Infine l’inferiore: “l’inferiore … non ha per il solito nel suo impasto che pepe, noci, fichi secchi, e farina di grano, lasciatovi tutto o in gran parte il tritello, e impastato con miele, e questo … si dice in Firenze Pan forte (v.sotto).


Dolci dell’inverno i Confortini, Bevicuocoli e Berlingozzi, venduti per le strade e preferiti comunemente dal basso popolo; i primi derivavano il loro nome da “conforto o sia ristoro per lo stomaco”, gli altri due molto asciutti e tali pertanto da richiedere bevande. Venivano solitamente serviti a fine pasto ed erano “adattabilissimi per i bevitori” che amavano trattenersi “lungamente a tavola in allegria con bere e ciarlare”.
In Quaresima e specialmente consumato durante il tempo del digiuno, il Pan di ramerino, fatto di farina bianchissima impastata con olio nel quale erano stati soffritti ramerino, uva passa, e talvolta anche zibibbo: “la figura di questi pani è sempre rotonda, e sono più cotti del pan fine solito venale”.
E ancora: Ciambelle, Mostaccioli, Migliaccio, Pan di Spagna, Bocca di dama, Cialde, Cialdoni, Brigidini, Pasta sfoglia, Pasticcini, Barachiglie e Cantucci, questi ultimi “stretti e lunghi” biscotti cotti in forno a pani, poi tagliati a fette e nuovamente riscaldati per meglio asciugarli; noti i Cantucci di Prato.