La nota dal titolo “La risposta di Carni Sostenibili a quanto sostenuto da Greenpeace”, pubblicata sul notiziario della nostra Accademia del 4 novembre scorso, dal titolo “No, agricoltura e allevamenti non consumano un’Italia e mezza all’anno” , oltre a sollecitare l’irritazione del collega Giuseppe Pulina, mi ha indotto ad alcune considerazioni che mi permetto di fare qui di seguito.
Partiamo dai bollettini FAO del 2006 e del 2019, secondo i quali il contributo dell’agricoltura alla produzione di CO2 sarebbe del 18%. Già da questo dato consegue logicamente che l’82% proviene da altre fonti. Nonostante ciò, l’eminente economista americano Jeremy Rifkin ha scritto: “I think we’re going to find out that agriculture is the number one cause for climate change. Right now, the UN and the FAO say it’s number two. But if you build in all of the accompanying elements to agriculture, we may find out it is number one”. (November 26, 2015). Gli rispondo in inglese con un semplice “no comment”.
Ma, se faccio mente locale allo schema del ciclo dell’anidride carbonica in atmosfera, a quei cartelloni didattici con i disegnini delle ciminiere delle industrie, delle centrali a carbone, delle automobili, degli aerei da una parte e degli alberi, dei prati, degli animali dall’altra, mi viene automaticamente da pensare che la CO2 prodotta dalle attività zootecniche è in primo luogo il risultato della digestione e del metabolismo degli alimenti da parte degli animali. Ma gli alimenti per gli animali, in particolare quelli consumati dai ruminanti, sono quasi esclusivamente di origine vegetale. Ciò vuol dire che le piante nella dieta dei nostri animali, prima di divenire materiale alimentare erano piante vive che avevano sottratto CO2 dall’atmosfera per fotosintesi. Quindi, secondo me, nel computo del contributo degli allevamenti alla produzione globale di CO2 si dovrebbe tener conto di questo fatto.
In altre parole, il carbonio contenuto nelle fonti fossili, idrocarburi, carbone, non era presente in atmosfera sotto forma di gas serra prima dell’estrazione dai pozzi o dalle miniere e della sua ossidazione per combustione nelle centrali, nelle industrie, nei mezzi di trasporto o per la climatizzazione selvaggia, mentre il carbonio immesso in atmosfera come conseguenza dalle attività agricole è il risultato del bilancio fra quello sottratto per fotosintesi e quello prodotto dagli animali per l’utilizzazione degli alimenti. Da questo punto di vista quel 18% indicato dalla FAO, andrebbe ridimensionato.
Un’ultima considerazione finale: possiamo ridurre l’arricchimento in atmosfera dei gas serra da combustione, ad esempio evitando di usare la macchina anche per andare a comprare il giornale o per accompagnare i figli alla scuola o alla palestra dietro l’angolo, ma non possiamo pretendere che tutti noi diventiamo vegani, salvo poi dover ricorrere agli integratori dell’industria farmaceutica, industria che, oltre ad arricchirsi, sicuramente un po’ inquina.