Tra gli argomenti da discutere proposti dalla FAO, in occasione della recente Giornata mondiale dell’Alimentazione, c’era quello della scelta dei prodotti di stagione; semplice a dirsi un po’ più complesso a farsi.
L’urbanizzazione massiccia che ha caratterizzato la società italiana nel secondo dopoguerra, ha fatto sì che la grande maggioranza dei giovani di oggi non conosca la campagna come luogo di produzione agricola e abbiano un’idea vaga e confusa di come e quando i prodotti che trovano in vendita e sulla tavola siano prodotti e raccolti nel nostro Paese anche perché la maggior parte della frutta tradizionale italiana è in vendita quasi tutto l’anno.
La realtà produttiva è enormemente cambiata negli ultimi decenni e con essa il concetto di frutta di stagione. Le ragioni di questi cambiamenti sono diverse: coltivazione in serra, coltura protetta, coltura fuori suolo, miglioramento genetico, globalizzazione dei commerci.
Le fragole , quando io ero un ragazzo, erano il tipico frutto della primavera e nella mia Regione erano chiamate con il nome dialettale di “magiostri”, per indicare la loro raccolta nel mese di maggio; oggi le fragole si raccolgono 12 mesi l’anno e sono sempre presenti sui banchi di vendita. Ciò è possibile grazie alla coltivazione in serra, alla coltura protetta e alle innovazioni di tecnica colturale, così come avviene anche per il lampone e per i mirtilli.
A metà degli anni ’60 iniziarono le prime esperienze di protezione dell’uva da tavola con film di polietilene per anticipare il germogliamento e , di conseguenza, la maturazione, con grandi vantaggi economici per i migliori prezzi spuntati sui mercati. Insieme con l’anticipo, si osservò che l’uva, protetta dalla pioggia , era anche meno soggetta agli attacchi di muffa grigia e nacque l’idea di proteggere le varietà tardive, Italia in primo luogo, per poter posticipare la raccolta senza incorrere nei gravi danni da Botrytis dovuti alle piogge autunnali. Oggi, in Italia, la quasi totalità dell’uva da tavola è in coltura protetta ampliando il calendario di raccolta di circa 3 mesi rispetto al pieno campo. La stessa tecnica per anticipare la raccolta fu poi applicata al pesco e all’albicocco.
Anche il miglioramento genetico ha molto contribuito a modificare la stagionalità di molte colture; due esempi significativi sono il pesco e l’albicocco. Ancora negli anni ’70 le più precoci cultivar di pesco e nettarine maturavano in pieno campo, al Sud, alla fine di maggio. Grazie all’attività di miglioramento genetico dell’Università della Florida è stato introdotto nelle cultivar allora diffuse, che avevano un fabbisogno in freddo, mediamente, di 800-900 ore, il carattere “ basso fabbisogno in freddo” ( 200-300 ore ) e furono diffuse cultivar coltivabili negli ambienti più meridionali e mature in pieno campo già ad aprile per cui anche le pesche di aprile sono diventate di stagione.
Ancora più clamoroso è il caso dell’albicocco che, grazie soprattutto al miglioramento genetico privato francese, negli ultimi vent’anni, ha raddoppiato il periodo di raccolta che è passato dai due mesi e mezzo soltanto una ventina di anni fa ai cinque mesi attuali: oggi diverse cultivar di albicocco si raccolgono in agosto e settembre.
L’ultima e più importante causa di destagionalizzazione della frutta è la globalizzazione dei commerci con le importazioni dai paesi più a sud dell’emisfero settentrionale ( in particolare riva sud del Mediterraneo) la cui raccolta inizia prima che in Italia e con le importazioni contro stagione dall’emisfero australe. Tutti questi paesi, oltre il vantaggio dell’epoca di raccolta diversa dalla nostra , hanno anche il vantaggio di costi di produzione quasi sempre inferiori ai nostri e, spesso, anche il vantaggio di una legislazione meno restrittiva sull’impiego degli antiparassitari ( secondo una indagine recente degli Stati Generali dell’Agricoltura i prodotti ortofrutticoli extra Ue irregolari, per quanto riguarda i residui chimici, sono il 4% contro l’1,3% dei prodotti italiani)
Grazie alla meritoria opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica da parte di iniziative come la Giornata mondiale dell’alimentazione e tante altre a livello nazionale, regionale e locale, si vanno diffondendo una maggiore conoscenza e coscienza delle produzioni nazionali, attraverso la promozione dei mercati del contadino, delle fattorie e degli orti didattici, della raccolta in azienda da parte del consumatore (il pick your own americano), della promozione nelle mense scolastiche del consumo di frutta “di stagione” e prodotta “nel territorio”. Non si deve, comunque, dimenticare che l’Italia è storicamente un importante Paese frutticolo, che produce molto di più di quanto sia in grado di consumare e che l’esportazione di frutta (e di ortaggi) è una delle poche voci attive del nostro bilancio agricolo.