Con l’inizio della presidenza semestrale di turno tedesca dell’Unione europea, c’è stata una accelerazione del processo di riforma della PAC, iniziato formalmente a meta 2018 e poi arenatosi per ragioni istituzionali (elezione del nuovo Parlamento Ue e rinnovo del collegio dei commissari), oltre che per motivazioni di tipo politico, in primis le difficoltà a definire il bilancio pluriennale 2021-2027, cui si sono aggiunte altre cause, come la relativa debolezza delle precedenti presidenze di turno e le difficoltà di collaborazione tra le commissioni agricoltura e ambiente del Parlamento europeo.
Entro il corrente mese di ottobre, sia il Consiglio dei ministri che il Parlamento dovrebbero definire la posizione comune e sarà così possibile avviare la parte finale del negoziato, con i contraddittori a tre (i cosiddetti triloghi).
Pertanto, non è più il caso di temporeggiare ed è arrivato il momento che, a livello nazionale, inizi una fase nuova, di analisi, di confronto e di proposte che porti a formulare le scelte applicative nell’ambito del piano strategico della PAC post 2020. Non è che fino ad oggi l’argomento sia stato accantonato. Piuttosto c’è stata carenza nella qualità, continuità e spessore del dibattito.
A differenza del passato, la responsabilità decisionale di Ministero e Regioni è aumentata e con essa è cresciuta pure la possibilità di incidere in modo virtuoso sul sistema agricolo. Il new delivery model, ovvero la più radicale discontinuità della riforma in discussione, non costringe più a muoversi entro i rigidi confini circoscritti dai minuziosi regolamenti di Bruxelles.
Nel preparare il piano strategico che è pluriennale (perché abbraccia l’intero periodo di programmazione), unico (perché riguarda l’intero territorio nazionale, superando l’esperienza dei piani di sviluppo rurale regionali) ed omnicomprensivo (perché pianifica in modo contestuale le tre tipologie di interventi e cioè i pagamenti diretti, le misure di mercato e lo sviluppo rurale), il Ministero e le Regioni hanno davanti una occasione preziosa per combinare le risorse finanziarie e gli strumenti disponibili in maniera diversa rispetto al passato.
C’è bisogno però di un requisito: riuscire a cogliere la portata del cambiamento e, di conseguenza, compiere scelte coraggiose, innovative ed originali, pur nella consapevolezza che le risorse della PAC per il periodo 2021-2027 siano inferiori rispetto al passato.
Vorrei formulare qualche esempio. Si parla spesso della complicazione nella gestione dei pagamenti diretti e della loro dubbia equità (per esempio, agricoltori storici impegnati nello stesso settore ricevono contributi ad ettaro che differiscono anche di oltre 10 volte). La proposta di riforma in discussione consente di abbandonare il sistema dei titoli individuali e passare ad un pagamento per ettaro uniforme a livello nazionale o regionale, con un impatto notevole in termini di semplificazione, di soppressione di privilegi e sterilizzazione di detestabili speculazioni.
La politica di sviluppo rurale è criticata per l’eccessiva dispersione dei fondi tra un numero elevato di misure, sotto misure ed operazioni e per la discontinuità temporale degli interventi: ci sono Regioni e Provincie autonome che riescono a pubblicare un unico bando per l’intero periodo di programmazione settennale, anche per misure strategiche come sono gli investimenti nelle aziende agricole e nelle imprese di trasformazione e commercializzazione.
L’approccio del new delivery model abilita gli enti responsabili della programmazione a livello nazionale a compiere scelte mirate, a favore di specifici settori, di determinate aree territoriali, di particolari tipologie di imprese beneficiarie e concentrare in tal modo le risorse finanziarie e gli sforzi gestionali. Bisogna solamente avere la lungimiranza e il coraggio di procedere in modo più selettivo e mirato, partendo dalla corretta individuazione dei fabbisogni e da un approccio franco e pragmatico con i portatori di interesse.
Analizzando i dati di contesto a livello regionale, ho notato che la propensione agli investimenti in agricoltura è assai variabile e, in base ai casi considerati, può risultare molto bassa o molto alta, rispetto al peso economico del settore. Sarebbe sorprendente se le Regioni con ridotta intensità di investimenti fissi lordi rispetto al valore della produzione rinunciassero ad una chiara scelta verso il sostegno dei progetti di investimento aziendali, in modo da colmare il deficit e contrastare la tendenza alla perdita di competitività.
L’enfasi sulla facoltà di Ministero e Regioni ad esercitare fino in fondo, con coerenza ed equilibrio la conquistata autonomia decisionale e disegnare un’architettura e contenuti innovativi della futura PAC a livello nazionale, non è il solo aspetto critico da considerare. Ce n’è un altro che, però, coinvolge anche il mondo degli operatori economici e gli altri portatori di interesse e non solamente le Istituzioni.
La PAC post 2020 sarà fortemente caratterizzata dalla maggiore ambizione ambientale, non solo per effetto degli orientamenti sanciti con il Green Deal Europeo, ma anche per la crescente sensibilità della politica e della società su tali tematiche. Personalmente ho notato come la capacità di analisi, di proposta e di pressione esercitate dalle organizzazioni ambientaliste sia cresciuta in modo esponenziale durante l’attuale ciclo di riforma della PAC.
La nuova architettura verde proposta inizialmente dalla Commissione europea, si è nel frattempo consolidata, come linea politica qualificante e caratterizzante. Chi spera di cavarsela con un “inverdimento di facciata” sbaglia a fare i conti. La sensibilità ambientale è trasversale a tutta la PAC e la Commissione europea sarà inflessibile nel valutare la qualità dei piani strategici nazionali, nella fase di programmazione e gli effettivi risultati perseguiti, in quella dell’applicazione.
Pertanto, è necessario iniziare a riflettere sul modo con il quale coniugare le prestazioni ambientali e quelle economiche nel contesto della PAC post 2020.