Credo che siamo tutti d’accordo nel dire che viviamo in un momento unico nella storia. Non è come una guerra o una recessione economica, dove si sa che le cose andranno male per alcuni anni, ma alla fine miglioreranno. Mai prima d'ora abbiamo saputo che il deterioramento non solo dei nostri paesi, ma del nostro intero pianeta, continuerà per il prossimo futuro, indipendentemente da ciò che facciamo. Come dice Richard Attemborough, possiamo (e dovremmo) lottare per rallentare la velocità con cui le cose peggiorano, anche se non possiamo realisticamente sperare in un miglioramento.
Attemborough riflette ciò che dice la scienza. La vera scienza, quella che va avanti con i pochi fondi a disposizione, a dispetto dei negazionisti e dei complottisti. Facce spesso opposte di uno stesso disegno politico teso a destabilizzare persone e istituzioni e/o di una stessa, profonda, ignoranza.
Infatti, anche se domani dovessimo arrestare le emissioni di carbonio, il riscaldamento, già in atto e che procede velocemente, potrà rallentare solo nel giro di qualche decina di anni. Negli scenari più auspicabili, ma purtroppo non probabili alla luce dei recenti dati, dobbiamo essere pronti per un riscaldamento di 1,5 ℃ o molto più.
Le conseguenze potrebbero essere disastrose. Se riusciremo a limitare il riscaldamento a 1,5 gradi, avremo comunque un innalzamento del livello del mare di circa mezzo metro, ondate di calore e siccità in molte parti del mondo, con conseguente riduzione della produttività agricola. Possiamo aspettarci di conseguenza migrazioni di massa, morte e distruzione, con molte parti del mondo che diventeranno inabitabili.
Quindi come affrontiamo un problema che ormai dovrebbe essere più che conosciuto? La domanda è tanto più difficile quando fronteggiamo l'inevitabile senso di colpa: siamo tutti complici del sistema politico sclerotico che non è riuscito a far fronte alla crisi e tutti contribuiamo alle emissioni di carbonio. Pochi di noi possono dire di essere stati all'altezza di queste sfide.
E non possiamo continuare a pensare che la crescita di un paese la si misuri solo con l’aumento di PIL. Alcuni ricercatori di Stanford affermano che non è necessario sacrificare le priorità ambientali per raggiungere la prosperità economica. La crescita verde offre approcci basati sulla natura per un futuro sostenibile anche economicamente.
Tuttavia, i piani di sviluppo economico spesso trascurano un dettaglio cruciale: gli ecosistemi che forniscono servizi essenziali alle persone. Sempre più, tuttavia, i leader del mondo accademico, finanziario, dello sviluppo sostenibile e del settore privato concordano sul fatto che la natura è un motore chiave della prosperità economica. Ora stanno cercando strumenti e indicazioni affidabili per implementare la crescita verde.
Ci sono storie di successo da tutto il mondo riguardo alla "Crescita verde che funziona” cioè una politica che ponga al primo posto il capitale naturale ma non dimentichi, anzi incoraggi gli investimenti finanziari in tutto il mondo". Per soddisfare le esigenze di quei leader che desiderano attuare strategie di crescita verde, la letteratura è piena di tecniche comprovate per la pianificazione e l'attuazione di uno sviluppo economico che abbia un senso ambientale e anche sociale. Non dobbiamo e non possiamo lasciare nessuno indietro.
Che cosa significa allora "crescita verde inclusiva"? significa migliorare il benessere delle persone e della natura, allo stesso tempo. Significa attuare approcci che riducano la povertà e aumentino l'accesso all'istruzione, all'assistenza sanitaria e alle infrastrutture, mentre investiamo nelle risorse naturali dalle quali dipendono i nostri mezzi di sussistenza, salute ed economie: il nostro capitale naturale. Sappiamo che concentrarsi solo sulla crescita economica o sulla sola conservazione non ha successo a lungo termine. Per raggiungere un futuro con prosperità condivisa, abbiamo davvero bisogno di incorporare tutte le fonti di capitale, compresi quelle naturali e sociali, nei nostri piani di sviluppo economico.