La versione di Pugliese

di Lorenzo Frassoldati
  • 22 July 2020

La Fase 3, la ripartenza, il rilancio, ci consegnano un futuro avvolto nelle nebbie. Se c’è una eredità del Covid, è la totale incertezza su cosa sarà di noi, della nostra economia, dei nostri consumi da qui a sei mesi.
Tutti azzardano previsioni, però bisogna ammettere francamente che del nostro futuro nessuno capisce più niente. Quanto consumeremo e come? Faremo la spesa al mercato oppure on line? E soprattutto avremo i soldi per farla? Si naviga a vista. Per previsioni a medio-lungo periodo rivolgersi al mago Do Nascimiento, magari lui ci prende.
Una delle poche cose però che si possono affermare con sicurezza è che in questi mesi si è consolidata la centralità strategica della grande distribuzione alimentare, che le catene della Gdo – già forti prima – sono più forti adesso; sono loro al centro della scena dei consumi alimentari, in primo luogo dell’ortofrutta. C’è anche un forte risveglio dei Mercati generali, e la visita della ministra Bellanova al Car di Roma è un segnale forte, impensabile fino a poco tempo fa. Però i Mercati hanno bisogno di un Piano nazionale (con i relativi fondi) per affrontare una radicale razionalizzazione e riassetto attorno a un nucleo di strutture efficienti e competitive. I Mercati hanno ancora un lungo percorso davanti, le catene della Gdo sono un sistema maturo, in particolare dopo l’operazione Conad-Auchan.
In genere in Italia quando si è consapevoli che un problema non si può risolvere, si invoca un ‘patto’. Patto per il lavoro, patto per la scuola, patto per l’agroalimentare… Dopo l’invocazione,  e magari la sigla del ‘patto’, le cose in genere restano come prima. È sfuggito a questa tentazione Francesco Pugliese, appena confermato n.1 di Conad e, possiamo dirlo?, n.1 della distribuzione alimentare italiana. Come fanno i veri numeri uno,  Pugliese dopo aver chiuso un bilancio 2019 a 14,2 miliardi (+ 5,9% rispetto al 2018, e non c’è ancora l’apporto dell’operazione Auchan) ha rilasciato il giorno dopo una ampia intervista al Corriere della Sera (domenica 21 giugno) su cui vale la pena di soffermarsi.
Prima però una nota di cronaca: se Conad domina il mercato, al vertice di ADM (Associazione distribuzione moderna) c’è il numero 1 di Coop Italia, Marco Pedroni. Come dire: gli uomini della distribuzione cooperativa, sia come business che come rappresentanza, rappresentano ai massimi livelli le politiche e le tendenze della Gdo e, non avendo al momento una controparte organizzata  e autorevole nel mondo produttivo organizzato, sono investiti di una grande responsabilità, quella che spetta a chi sta nella stanza dei bottoni, a chi fa il mercato e lo può orientare. A chi dà la linea, come si diceva ai tempi del vecchio Pci.
Ma torniamo a Pugliese, davvero un cavallo di razza tra i manager della Gdo, che dopo aver chiuso i conti con la Coop per la leadership, adesso parla dall’alto di una visione-paese complessiva. E dice cose di assoluto buon senso. Da vero volpone minimizza i vantaggi che la pandemia ha portato ai bilanci delle catene distributive (“Se l’economia va giù, perdono tutte le filiere compresa la nostra”), ribadisce che la filiera agroalimentare “è a bassissima marginalità” (lo afferma anche Nomisma), dice che davanti alla crisi “non possiamo agire solo col narcotizzante dell’assistenzialismo di Stato, dei bonus e della cassa integrazione”; chiede infine una riforma fiscale che riequilibri l’imposizione. Enuncia la sua idea di Paese: “Primo: ridurre la tassazione sul lavoro”. Cioè il primo problema è la competitività, perché “abbiamo costi più alti dei nostri concorrenti internazionali”.
Il messaggio vale per l’agroalimentare e a maggior ragione per l’ortofrutta. Aldilà dei bonus, degli sgravi, oltre la richiesta di sovvenzioni e detassazioni, di ristoro dei danni subiti dalle produzioni estive, c’è un problema di fondo che inchioda le imprese produttive e commerciali: un costo del lavoro penalizzante che ci mette fuori mercato e che apre le porte all’import in dumping dei nostri concorrenti-partner europei, Spagna in primis. Inutile applaudire chi durante la fase acuta dalla pandemia ha continuato a lavorare e produrre per mettere prodotti buoni sulla tavola degli italiani. La retorica lascia il tempo che trova. Bisogna dimostrare la riconoscenza del Paese investendo sulle filiere agroalimentari perché queste filiere sono l’economia dell’Italia (pensiamo al peso dell’ortofrutta nelle 5 regioni del Sud).
Mentre si buttano nel calderone di Alitalia altri 3 miliardi (più o meno sono 15 negli ultimi vent’anni) dove sono gli investimenti nell’agroalimentare, nella logistica, nelle infrastrutture fisiche e digitali?
Non c’è più tempo. Con una recessione pesantissima alle porte , con la caduta del potere d’acquisto delle famiglie certificato dall’Istat, il calo dei consumi che sta caratterizzando gli ultimi mesi continuerà, mentre il clima di incertezza sta già frenando gli acquisti non essenziali e aumenta la propensione al risparmio. Servono misure shock per rimettere in moto i consumi, non oziose e inutili polemiche sugli aumenti dei prezzi della frutta che lasciano il tempo che trovano…
Federdistribuzione ricorda che entro il gennaio 2021 i suoi fornitori dovranno essere iscritti alla Rete del Lavoro agricolo di qualità, pena l’esclusione. E chiede di favorire “un percorso di ampliamento delle dimensioni delle imprese agricole e un loro processo di accorpamento in consorzi o cooperative, riuscendo così ad assumere più massa critica per affrontare gli investimenti necessari e le sfide di un mercato che diventa sempre più competitivo”. Sacrosanto. Vedete traccia di una qualsivoglia politica in questo senso? Io no.


Da: www.corriereortofrutticolo.it