«Braccia rubate all’agricoltura». Era con quest’espressione un po’ sprezzante che venivano etichettati nel dopoguerra i lavoratori che dalle campagne si recavano in città alla ricerca di un posto di lavoro, magari impiegatizio. A distanza di 70 anni l’opinione prevalente nei confronti del lavoro nei campi resta quella: un impegno di pura forza fisica senza alcuna competenza. E anche oggi che l’agricoltura è completamente cambiata, produce meno quantità ma più valore aggiunto, in tanti segmenti ha sposato la rivoluzione della qualità e l’innovazione (fattori decisivi per aprire le porte dei mercati internazionali) i lavoratori agricoli continuano a essere chiamati “braccianti” cioè braccia intercambiabili tra i settori senza alcuna specializzazione.
Il tema è riemerso con forza nell’ampio dibattito sul provvedimento del Governo, promosso dalla ministra per le Politiche agricole, Teresa Bellanova e che dispone una regolarizzazione dei lavoratori immigrati impiegati (con contratti regolari) in agricoltura. Misura motivata dagli obiettivi di far emergere il lavoro nero e combattere lo sfruttamento e il caporalato.
«Ma che rischia di scontrarsi – dice Ettore Prandini, presidente Coldiretti – con le reali esigenze delle imprese agricole che non sono quelle di manodopera generica ma di competenze e specializzazione». Un aspetto evidente a partire dal settore agricolo a maggiore valore aggiunto: il vino. Comparto nel quale nei giorni scorsi qualche produttore ha addirittura fatto ricorso a un jet privato pur di recuperare le storiche collaboratrici romene specializzate nella vendemmia e bloccate al confine tra Romania e Ungheria, mentre molti stanno promuovendo corsi di formazione sul territorio per non trovarsi scoperti nei prossimi mesi quando incalzerà la vendemmia.
Tuttavia si tratta di esigenze sempre più sentite anche in altre produzioni. «Il Radicchio tardivo di Treviso – spiega il responsabile ortofrutta della Coldiretti, Lorenzo Bazzana – viene fatto appassire in campo con i primi freddi, raccolto e privato delle foglie rovinate. Immerso poi in mazzi in acqua di risorgiva. Nell’acqua più calda il Radicchio produce nuove foglie che garantiscono la caratteristica croccantezza. Insomma, una lavorazione che non si improvvisa».
Ma non c’è bisogno di coinvolgere le specialities per incontrare la domanda di manodopera specializzata. «Servono conoscenza, manualità, colpo d’occhio ed esperienza – aggiunge Bazzana –. Nelle produzioni vegetali l’operazione chiave è la potatura che se effettuata in modo scorretto può pregiudicare la produttività futura. E danni si possono provocare anche in fase di raccolta. Adesso è il momento delle ciliegie, strappare i frutti con il picciolo rompendo la formazione a frutto vuol dire danneggiare il potenziale produttivo della pianta. Allo stesso modo se si potano le formazioni a frutto apicali di mele o pere si impediscono nuove fruttificazioni. Errori che spesso si commettono se si punta a massimizzare le quantità raccolte senza conoscere le peculiarità delle piante. Qualcosa di più serve per gli asparagi che crescono sottoterra».
E un elevato livello di specializzazione serve nel florovivaismo, per i piccoli frutti e per le lavorazioni in serra.
«Senza dimenticare che guidare un trattore in pendenza può essere molto pericoloso – aggiunge il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – oltre al fatto che per alcune macchine agricole serve una patente specifica. La meccanizzazione è un altro fattore che trae in inganno: quanto maggiore è il ricorso alle macchine tanto più servono competenza e specializzazione. Non a caso quando in anni recenti si è registrato un ritorno di giovani all’agricoltura non si è parlato di un ritorno di braccia, ma di competenze. Sul marketing, sull’export management, sull’innovazione. Tutti aspetti molto ricercati, che difficilmente si troveranno con una regolarizzazione».
da Il Sole24Ore, 1/6/20204