«Non sarà petrolio, ma anche la Puglia custodisce un tesoro sotto terra. Si chiama inulina, e a produrla ci pensano le piante dei carciofi, il cui apparato radicale ha dimostrato di essere una buona fonte di estratti ricchi di inulina».
È quanto afferma Pietro Santamaria, docente di Orticoltura presso il Dipartimento di scienze agro-ambientali e territoriali (Disaat) dell’Università di Bari, presentando una ricerca sull’estrazione dell’inulina, uno scarto di grande valore del carciofo, una delle colture orticole più importanti per la Puglia, che realizza circa un terzo della produzione nazionale di tale ortiva. «Le radici di carciofo sono uno scarto di valore… potremmo dire di aver trovato un tesoro!».
«Per la pianta del carciofo l’inulina è una fonte di energia, che accumula nelle radici. Per noi l’inulina è una risorsa preziosa come ingrediente alimentare: infatti è in grado di formare un gel, che può essere impiegato come addensante, anche come sostituto dei grassi nei dessert e nei prodotti da forno.
Dal punto di visto chimico, l’inulina è un carboidrato non disponibile, cioè non digeribile dagli enzimi prodotti dall’organismo umano, presente in diversi alimenti di origine vegetale. Fornisce pochissime calorie, proprio perché il nostro organismo non è dotato degli enzimi necessari per digerirla. È un prebiotico, cioè un alimento ideale per il nostro microbiota intestinale, molto importante per il mantenimento della nostra salute».
Ricercatori dell’Università di Bari hanno dimostrato che dalle radici del carciofo può essere recuperata questa preziosa molecola. I risultati della ricerca sono pubblicati sull’ultimo numero della rivista Food Hydrocolloids, una delle più prestigiose del settore delle scienze alimentari (Castellino et al., Conventional and unconventional recovery of inulin rich extracts for food use from the roots of globe artichoke. Food Hydrocolloids, 107, 10597).
Ricchezza da uno scarto, dunque. Infatti il progressivo passaggio dalla tradizionale coltivazione poliennale del carciofo al più breve ciclo colturale annuale (anche per ridurre la stanchezza del terreno) sta facendo lievitare i volumi di radici che annualmente vengono estirpate o interrate e costituiscono un “rifiuto” agricolo emergente, sottolinea Vito Michele Paradiso, ricercatore del Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari.
«La ricerca dell’Università di Bari propone, al contrario, una valorizzazione di questo scarto, che può fornire fino a 200 grammi di inulina per chilogrammo di radici.
Peraltro l’impiego di tecnologie di estrazione innovative, come l’estrazione con l’ausilio degli ultrasuoni (i ricercatori baresi hanno posto a confronto l’estrazione convenzionale ad acqua calda e quella a ultrasuoni assistita), consente di ottenere rese elevate con un impatto ambientale notevolmente ridotto.
La ricerca ha inoltre dimostrato che genotipo, ambiente e tecnologia di estrazione influenzano le proprietà degli estratti e che gli estratti sono adatti come substrato di crescita per i batteri probiotici. Gli addetti ai lavori la chiamano economia circolare. Per i non addetti si può riassumere così: “Pensarci due volte, prima di buttare qualcosa”».
da Terra e Vita, 15/5/2020