Non tutti i virus sono nostri cattivi nemici come il Coronavirus tristemente famoso, responsabile della Covid-19, che chissà quando ci permetterà di tornare alla nostra vita di tutti i giorni. Ci sono anche dei virus che non se la prendono con gli animali, ma solamente con batteri specifici. Sono i virus batteriofagi. Se i batteri bersaglio dei batteriofagi sono patogeni per noi e per i nostri animali, come ad esempio i Clostridi o i Campylobacter, i batteriofagi ce ne liberano a tutto nostro vantaggio.
L’impiego di antibiotici in zootecnia è stato vietato in molti paesi nel tentativo di risolvere, o per lo meno, alleviare, il problema dell’antibiotico resistenza acquisita (AMR) da parte di molti agenti microbici patogeni. L’insieme globale dei batteri divenuti resistenti agli antibiotici è stato battezzato lugubremente “superbug”, un mostro che sta minacciando le nostre esistenze, insieme ad altri super rischi che ci siamo creati. Secondo l’organizzazione mondiale della sanità “se continuiamo a far accumulare antibiotici nell’ambiente attraverso l’alimentazione animale, alla fine anche il sistema immunitario umano ne risentirà attraverso la catena alimentare”. Di conseguenza, i tentativi di trovare delle valide alternative agli antibiotici da impiegare come promotori di crescita negli allevamenti si sono moltiplicati negli ultimi tempi.
Fra questi, tenendo conto del fatto che i batteriofagi distruggono in maniera specifica i batteri patogeni che infettano comunemente i nostri allevamenti, da qualche anno si sta studiando la possibilità di usarli come promotori di crescita al posto degli antibiotici messi al bando. In questo senso vanno citate le prime esperienze in Unione Sovietica ed in Francia, addirittura alla fine del XIX secolo.
Un batteriofago è un virus che attacca specificamente i batteri, in maniera più specifica degli antibiotici, ma sembra non avere alcun effetto dannoso sull’uomo e sugli animali. I batteriofagi sono presenti in gran copia dappertutto, nell’acqua del mare e nell’acqua dolce, nel suolo e negli alimenti. Infettano i batteri attaccandone la membrana cellulare per introdurvi le proprie informazioni genetiche. Il virus si moltiplica all’interno della cellula batterica utilizzando energia e materia dell’ospite involontario. Si ha poi la lisi e la morte del batterio, con la diffusione dei neonati nuovi batteriofagi nell’ambiente, pronti ad agire di nuovo.
Nel 2006 l’FDA (Food and Drug Administration) statunitense ha riconosciuto l’impiego di batteriofagi in alimentazione animale come GRAS (Generally Recognised As Safe).
Nonostante le rassicurazioni della FDA, bisogna onestamente dire che è giustificato porci qualche domanda, in quanto l’uso dei batteriofagi contro i patogeni è un argomento ancora da studiare a fondo. Intanto, anche i batteriofagi sembra che possano indurre resistenza nei batteri (Wright et al., 2019). E poi sappiamo che hanno un impatto significativo sul sistema immunitario, sia indiretto sul microbioma dei mammiferi, sia diretto attraverso modalità tipicamente antinfiammatorie. Il risultato è che i batteriofagi esercitano un importante effetto sull’esito delle infezioni batteriche anche attraverso la modulazione del responso immunitario (van Belleghem et al., 2018).
In conclusione, questi batteriofagi sono o non sono da prendere in seria considerazione come strumenti di future terapia e prevenzione delle patologie batteriche. La risposta ce la deve dare la ricerca, quella libera.
Foto: Clostridium perfringens