Il mercato italiano dello zucchero sta reggendo l’urto della crisi, nonostante il crollo dei prezzi internazionali. Ad aprile, secondo l’indice Fao che misura i prezzi delle derrate alimentari più comuni, i prezzi dello zucchero hanno toccato il minimo da 13 anni, con un calo del 14,6% rispetto a marzo, mese in cui ha registrato un calo mensile ancora maggiore.
Il crollo dei prezzi internazionali del greggio ha ridotto la domanda di canna da zucchero per la produzione di etanolo, dirottandola sulla produzione di zucchero e incrementando le disponibilità per l’export. Nel frattempo le misure di lockdown in diversi Paesi hanno generato un’ulteriore forte pressione al ribasso della domanda.
La filiera nazionale, o almeno quel che ne resta dopo il progressivo smantellamento degli ultimi anni con la chiusura di 16 zuccherifici sui 19 attivi prima della riforma del mercato europeo del 2006, guarda comunque con fiducia allo scenario post Coronavirus. Il lockdown dell’horeca (hotel, ristoranti, bar e catering) è stato assorbito grazie all’effetto sostituzione dei consumi domestici e al buon andamento dell’industria.
La principale incognita è rappresentata dal Brasile, primo esportatore mondiale, dove le grandi quantità di zucchero prodotto per il bioetanolo stanno abbandonando la strada delle bioraffinerie e riprendendo quella degli zuccherifici. Il basso costo del petrolio sta infatti mettendo fuori mercato le destinazioni “no food” che assorbivano una buona fetta della produzione, con il rischio di un nuovo eccesso d’offerta. Situazione già vissuta tre anni fa dall’Europa dopo la fine delle quote di produzione che ha fatto precipitare i prezzi.
L’Italia, dopo un lungo declino della bieticoltura, produce attualmente circa 200mila tonnellate a fronte di un fabbisogno industriale di circa 1,5 milioni, coperto quindi per meno del 15 per cento. Le nuove semine sono stimate in lieve calo (-3%) rispetto ai 30mila ettari investiti nel 2019.
Il mercato europeo, dominato da Francia, Germania e Polonia, per i produttori resta protetto da contingenti e dazi, anche dopo la riforma draconiana che ha smantellato la produzione italiana con incentivi alle dismissioni e la fine delle quote produttive nel 2017.
A fronte di quotazioni globali che si aggirano intorno ai 300 euro per tonnellata, in Italia l’ultimo fixing è di 525 euro. «I dazi Ue mantengono i prezzi artificialmente alti – spiega Filippo Roda, analista di Areté, società di consulenza specializzata nell’agribusiness –. Il mercato europeo di fatto si allinea a quello mondiale solo quando è eccedentario, come è successo nella campagna 2017-18 dopo la rimozione delle quote di produzione Ue, mentre assume dinamiche proprie, variabili da paese a paese, quando è deficitario».
Attualmente anche la Ue rimane importatore netto, ma con proporzioni ben diverse dall’Italia: appena 700mila tonnellate a fronte di una produzione di 17,5 milioni, nonostante la crisi stia colpendo anche Francia e Germania con gli annunci di nuove chiusure.
Al di là della congiuntura resta però, da anni, il lento e costante calo strutturale della domanda, nell’ordine di 100mila tonnellate annue, anche per le campagne salutiste contro i consumi di zucchero. E l’effetto Brexit potrebbe riversare ora sul mercato interno le 500mila tonnellate di esportazioni francesi dirette ogni anno verso il Regno Unito, con effetti ancora imprevedibili.
da Il Sole24Ore, 12/5/2020