Secondo le stime più recenti, mediamente nel mondo qualcosa come oltre il 40% degli alimenti che acquistiamo finisce nella pattumiera o in discarica. Lo spreco alimentare è aumentato di più del 50% rispetto agli anni ’70, quando le minori disponibilità economiche delle famiglie ci costringevano a più saggi comportamenti.
Secondo uno studio condotto dalla FAO nel 2011, intitolato Global Food Losses and Food Waste, ogni anno, nel mondo, vengono sprecati circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo di cui l’80% ancora consumabile e solo il 43% dell’equivalente calorico dei prodotti coltivati a scopo alimentare umano a livello globale viene effettivamente consumato. Le tonnellate di cibo che vengono sprecate nei soli Paesi industrializzati sono circa 250 milioni. Una cifra che, da sola, sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione dell’Africa Subsahariana!
Nel nostro Paese, nella spazzatura finiscono 700 grammi di cibo pro capite a settimana, quasi l’uno per cento del prodotto interno lordo (progetto “Reduce”, 2019).
Da più parti si avanzano proposte per “riciclare” quanto viene incoscientemente buttato via con conseguenze negative anche nei riguardi della sostenibilità ambientale, trasformandolo in alimenti per animali.
A titolo di esempio, fra gli altri progetti, in Australia la start-up “Food Recycle” di Norm Boyle trasforma gli scarti alimentari, dopo averne recuperata l’acqua, in mangime pellettato per polli da carne e ovaiole e in fertilizzanti liquidi. Da una tonnellata di scarti alimentari si ottengono 390 kg di mangime pellettato, 90 litri di fertilizzanti liquidi e 520 litri di acqua distillata. Il processo industriale si svolge in quattro fasi: a) un trattamento termico ad elevata temperatura in corrente di vapore per la sterilizzazione iniziale; b) la macerazione per consentire l’avvio di processi fermentativi utili; c) la disidratazione attraverso la percolazione seguita da liofilizzazione; d) la pellettatura del materiale disidratato dopo accurata omogeneizzazione. Il percolato viene commercializzato come fertilizzante liquido e l’acqua recuperata a parte.
I vantaggi che possono derivare dalla buona pratica di riciclare gli scarti alimentari riguardano, in primo luogo, un importante riduzione della produzione di gas serra: da una tonnellata di scarti alimentari lasciati fermentare in discarica si svolgono 1,9 tonnellate di CO2 equivalenti, sotto forma di metano; si recupera acqua pulita per altri usi; si limita la diffusione di patologie microbiche e virali attraverso l’alimentazione animale con scarti non trattati; si risparmiano risorse economiche.
Se si tiene conto che, globalmente, si prevede di dover raddoppiare le produzioni zootecniche per il 2050 (studio FAO, 2013), ben vengano tutte le iniziative che possono contribuire al risparmio di alimenti aiutando, anche, la sostenibilità ambientale.