Sotto gli occhi di tutti è negli ultimi anni la quasi onnipresenza di chef, gourmet, cucine d’autore, guide gastronomiche, cucina e gastronomia su tutti i canali televisivi, senza contare i giornali e le pubblicazioni stimate in circa due libri il giorno, la massa di recensioni, classifiche e giudizi spesso espressi senza adeguate capacità critiche e in assenza di una concreta esperienza: una vera e propria “bolla gastronomica” alimentata dai critici, esperti o pseudoesperti e anche dalle scuole di cucina che sformano uno stuolo di futuri chef. Imponenti sono le dimensioni raggiunte dal mangiare fuori casa e dalla ristorazione e secondo le Camere di Commercio nel 2019 il settore registra la presenza di quasi quattrocentomila attività (un locale ogni centocinquanta persone, certamente in eccesso rispetto alle necessità) con una spesa degli italiani per consumi fuori casa di ottantasei miliardi di Euro (millequattrocento Euro per persona, bambini e poveri compresi). Una cifra d’affari quest’ultima molto superiore se si considera quanto riguarda il mondo della comunicazione, dell’editoria e soprattutto della filiera alimentare. La bolla gastronomica non solo italiana, alimentata da una quasi irrefrenabile esaltazione, ricorda la bolla speculativa dei tulipani scoppiata nel XVII secolo nei Paesi Bassi, quando un bulbo di questo fiore arrivò a costare quanto una casa e poi la bolla scoppiò e tutto crollò, come sembra possa avvenire per la bolla gastronomica in seguito all’attuale epidemia da coronavirus, anche per una serie di precedenti ma dai più forse volutamente ignorati segnali di criticità.
Dal 2018 i locali di ristorazione hanno avuto un saldo negativo con oltre dodicimila quattrocento chiusure (trentaquattro per giorno) e soprattutto significativo è il loro rapidissimo turnover e che dopo un anno chiude un quarto dei ristoranti e dopo cinque anni il cinquantasette per cento. Uno dei principali motivi di questa critica instabilità è da ricercare in un eccesso d’offerta che determina anche sempre più frequenti passaggi di gestione, ristrutturazioni, cambiamenti di nome e soprattutto di proprietà, segnali di una situazione rischiosa e che dà adito a sospetti d’attività illecite, di copertura, riciclaggio di denaro, affari illegali. Secondo il Rapporto Agromafie di Coldiretti il controllo della malavita nel settore della ristorazione avrebbe un giro d’affari che si avvicinerebbe ai venticinque miliardi di Euro senza dimenticare che i locali servirebbero per mimetizzarsi nella società, compromettere una sana concorrenza e sarebbero il mezzo per creare e mantenere una rete di relazioni dalle quali trare vantaggi. In questa situazione, solo in parte rapidamente tratteggiata, s’inserisce l’arrivo della epidemia da coronavirus con la forzata chiusura dei locali di ristorazione e con la molto probabile successiva, non breve recessione economica che molto probabilmente se non farà scoppiare almeno ridimensionerà notevolmente la bolla gastronomica già minata dai segni di criticità prima accennati.
Non viviamo un'era di cambiamenti, ma a un cambiamento di era che riguarda anche i costumi alimentari e soprattutto la gastronomia, non solo per questo periodo di restrizioni di mobilità, ma per i successivi e lunghi riflessi economici di un periodo di recessione mondiale accompagnato anche da una riduzione del turismo che porterà allo sgonfiamento della bolla gastronomica. Facile prevedere che quando gli italiani potranno uscire dalle loro case molti esercizi di ristorazione non saranno aperti e quelli che riapriranno dovranno modificare le strutture di sala. Tra i ristoratori rimarranno quelli che hanno una buona preparazione, buone idee e che sapranno rispondere con prontezza e competenza alle richieste del mercato, mentre saranno eliminati gli imprenditori che vedevano nella ristorazione soltanto un settore di facili guadagni. Le ristrettezze economiche limiteranno il numero di locali d’alta gamma condotte da veri chef, che certamente non scompariranno ma continueranno a lavorare per una più ristretta fascia di popolazione che potrà permettersi la loro arte. Non sappiamo quando si potranno rivedere gli affollati fast food, gli stipati apericena attorno ai bar, i gremiti street food, le sagre gastronomiche dove trovavano lavoro molte persone. Verosimilmente vi sarà un calo della presenza gastronomica sui mezzi di comunicazione con la riduzione se non la scomparsa di chi non ha adeguata capacità critiche e profonda esperienza. Molto probabilmente in televisione la cucina non sarà più un argomento di primo piano, mentre sarà interessante vedere come cambierà la pubblicità per gli alimenti perché nella gran parte delle famiglie potrebbe tornare una cucina più spartana e “risparmiosa” e quando le nuove generazioni post-contagio non avranno più i nonni, testimoni di tradizioni alimentari. Certamente vi sarà lo spettro della disoccupazione per molti degli addetti al settore della ristorazione e dell’indotto, iniziando dai cuochi sfornati dalle molte se non troppe scuole di cucina, in un futuro che almeno per un certo periodo non sarà roseo, ma chi vivrà vedrà.