“La pandemia riporta al centro gli agricoltori, ma abbiamo sbagliato a dimenticarcene prima”

  • 01 April 2020


Pubblichiamo l'intervista di Matteo Bernardelli a Daniela Toccaceli, ricercatrice di Innovazione organizzativa dell’agricoltura e dello sviluppo rurale all’Università di Firenze e direttore del Centro studi sull’organizzazione economica dell’agricoltura dell’Accademia dei Georgofili.

Direttore, con la pandemia scatenata dal Coronavirus è emersa prepotentemente la centralità dell’agricoltura e dell’agroalimentare. È cambiata la considerazione anche degli agricoltori?
“L’agricoltura è un settore strategico, che si è innovato in passato e continua ad innovarsi. Pensare che sia un settore non tecnologico è un sentimento romantico, ma sbagliato. Nutrire il pianeta è una responsabilità che non riguarda solo gli agricoltori, ma li coinvolge direttamente, a livello individuale e come macro. Non può essere una pandemia che ce li porta all’occhio, abbiamo purtroppo sbagliato a dimenticarcene prima, degli agricoltori”.

L’Europa dovrà continuare ad assicurare attenzione all’agricoltura come bene pubblico, al servizio dei cittadini europei?

“Con la pandemia si palesano tutte le contraddizioni di un’Unione europea ancora incompiuta, incompleta, troppo spesso miope e attenta al particulare più che all’interesse di un grande continente. Dovrebbe guardare con più lungimiranza a come variano e si ricompongono le relazioni geopolitiche. Un’Europa più compiuta e politicamente più ambiziosa sarebbe di sicuro aiuto alla nostra agricoltura che compete nel mercato globale. E solo vincendo questa competizione potrà continuare ad assicurare cibo e beni pubblici a tutti noi”.

In tutto ciò l’agricoltura c’entra?

“Moltissimo, perché la condotta politica si riflette direttamente sui mercati e mai come ora vediamo quanto sensibilmente i mercati reagiscono, vediamo quanto conta che il sistema politico sappia creare un clima di fiducia e di affidabilità verso creditori e investitori. L’agricoltura e il cosiddetto food-system sanno come avvantaggiarsi di tali premesse, quando sono solide, ma soffrono moltissimo quando vengono a mancare”.

Le tensioni legate al coronavirus si sono riverberate anche sui mercati, con il ritorno alla volatilità. La cooperazione può essere un paracadute alla caduta dei prezzi?
“Sicuramente. Non sempre si sono verificati casi di speculazione, ma è evidente che il mercato ha risentito dello choc e di nuove dinamiche di domanda e offerta, mutate rapidamente. Pensiamo alla chiusura di bar e ristoranti, ad esempio, che ha azzerato la domanda di molti beni agroalimentari e della pesca di un intero canale di vendita. Chiaramente organizzarsi per controllare, attraverso l’aggregazione, le dinamiche di mercato è la soluzione, e la cooperazione è uno strumento principe perché è il più antico e il più collaudato. Accanto a questa molti altri modelli di aggregazione (Op, Oi e altri) saranno, nella prossima Pac, strumenti a supporto della competitività”.

La pandemia ci ha costretto in casa, cambiando le modalità di fare la spesa e di nutrirci, riscoprendo anche i piatti della nostra tradizione.

“Sì, abbiamo molta cultura, memorie e ricchezza nel nostro cibo, che nessuna pandemia ci può togliere, ma cucinare per molte ore o per tutti i pasti saranno abitudini che cambieranno non appena questa fase di costrizione casalinga finirà. Sulle botteghe, invece, abbiamo compreso tutti che hanno un ruolo, un senso e una funzione che vanno ben oltre la vendita del cibo, con un’importanza non solo nei centri rurali, ma anche nelle stesse città. Finito questo periodo dovremo considerare e innovare tali modelli organizzativi, senza dimenticare che hanno saputo offrire valide risposte in una fase senza precedenti”.

Il famoso architetto olandese Rem Koolhaas ha organizzato al museo Guggenheim di New York la mostra Countryside, the Future, che riguarda gli spazi non urbanizzati con un approccio molto ampio. Come cambiano le campagne?

“Credo innanzitutto che sia molto positivo parlare da una sede così prestigiosa di campagne. Al plurale, perché rappresentano un caleidoscopio di realtà non paragonabili fra loro. Credo che in futuro le città tenderanno sempre di più a ingrandirsi e a inglobare le aree confinanti, cosicché avremo sempre di più campagne parcellizzate all’interno di maglie urbanizzate. In Italia molti anni di sviluppo rurale hanno permesso di attivare idee, modelli consolidati, reti informali, approcci innovativi nelle campagne, così da poter individuare sistemi di crescita e soluzioni a problemi, anche laddove lo Stato non arriva. Così abbiamo messo in luce che le aree rurali sono indubbiamente sono serbatoli di vitalità per la società e la civiltà”.



da: Terra Mantovana, 26/3/2020