In questo periodo di grande preoccupazione ricorre sovente e talvolta in
toni lugubri, sui social, giornali, radio e tv la domanda su quale sarà
il nostro futuro, cosa cambierà, ecc. Purtroppo, questa nuova dolorosa
emergenza non cancella, anzi si aggiunge a quelle che già avevamo, come
ad esempio, tanto per citarne una che, non solo interagisce fortemente
con l’attività agricola ma che, da più parti, si ritiene in qualche modo
anche correlata con quello che ci sta succedendo: i cambiamenti
climatici che hanno prodotto un’enorme variabilità delle precipitazioni
con l'alternarsi di stagioni piovose concentrate in pochi giorni, con
eventi catastrofici e stagioni secche che spesso sfociano in
preoccupanti periodi di siccità.
Si calcola che le perdite
economiche, dovute a questi cambiamenti, nei paesi dell’Unione Europea
nel periodo 1980-2015 ammonti a oltre 400 miliardi di €, di cui 38% per
le alluvioni, il 25% per le tempeste di vento, il 10% per la siccità, il
6% per le ondate di calore. Queste ultime hanno un notevole impatto
sulla salute umana visto che causano il maggior numero di morti
soprattutto fra i più vulnerabili (anziani).
Altra emergenza a
livello planetario è la degradazione del suolo. Nel mondo ogni mezz’ora
se ne perdono 500 ha per le cause più diverse (erosione, inquinamento,
cementificazione, ecc.). I suoli sani sono essenziali per la produzione
alimentare: il 95% del nostro cibo dipende dalla disponibilità di suolo
fertile. Agricoltura e urbanizzazione competono per l’uso degli stessi
suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva.
Oggi oltre il 33% dei suoli mondiali è affetto da forti limitazioni per
la produzione di alimenti e nei paesi industrializzati le terre da
destinare all’agricoltura sono ormai limitatissime.
Eppure, se la
popolazione continuerà a crescere al tasso attuale, entro il 2050 le
previsioni dicono che dovremo produrre il 60% di cibo in più rispetto al
livello attuale per poter sfamare i 10 miliardi di individui che
popoleranno il pianeta. Ci sarà cibo per tutti? Mi ritornano in mente le
appassionate parole del compianto grande scienziato, caro amico,
Michele Stanca, quando affermava, nella veste anche di abile
divulgatore, che dobbiamo dare da mangiare a questi 10 miliardi e questa
è la sfida del futuro se abbiamo la capacità di mettere in atto una
strategia sostenibile.
Attualmente, la popolazione mondiale spreca
1/3 di tutto il cibo prodotto che corrisponde a 1,3 miliardi di
tonnellate che producono 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra, oltre
al relativo danno economico.
Entro il 2050, oltre 140 milioni di
persone dovranno migrare dal loro paese di origine per colpa delle
conseguenze dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali
correlati.
Questi dati sono ben conosciuti e gridati al mondo intero
ma nessuno finora ha posto in atto progetti e azioni adeguate a
invertire, in una prospettiva di lungo termine, questa tendenza. Se si
continua così ci aspetta una decrescita tragica altro che felice!
Sui
mezzi di comunicazione di massa cominciano ad apparire commenti sul
fatto di un possibile rallentamento dell’inquinamento atmosferico ma è
chiaro che i cambiamenti ambientali avvengono nel lungo termine quindi
dobbiamo aspettare per avere dati attendibili. Una cosa però è certa,
visto che si dice che dopo questa tempesta tutto non sarà come prima,
occorre un nuovo paradigma, un nuovo modello di sviluppo per la
produzione industriale, artigianale e agricola che trovi davvero la
completa compatibilità fra la sostenibilità ambientale, economica e
sociale, attualmente molto distanti tra loro. Occorrerà, quindi
ripensare seriamente agli accordi sul clima, fermare veramente il
consumo di suolo, dedicarsi seriamente alla tutela della biodiversità e
incentivare l’agricoltura sostenibile.
Questa emergenza ci ha fatto
capire inoltre che occorrono investimenti nella sanità pubblica per non
ritrovarsi in queste condizioni alla prossima avversità, oltre che
investimenti nella scuola, in ricerca e cultura e nella corretta
manutenzione del Paese, per non dover poi operare sempre con interventi
di emergenza, peraltro più costosi di quelli preventivi.
Sostituire veramente l’economia tradizionale con quella circolare e così via.
Se
davvero, quando questa pandemia sarà passata, saremo capaci di mettere
in atto questo nuovo paradigma, vorrà dire che da questa tragedia
abbiamo saputo cogliere un’opportunità.