La dieta mediterranea rappresenta un modello alimentare al quale vengono riconosciuti una serie di effetti benefici per la salute umana che spaziano dalla riduzione del rischio di mortalità generale alla prevenzione delle malattie cardiovascolari e coronariche, delle malattie oncologiche, del diabete e delle malattie neurodegenerative. Parte di queste proprietà risiedono nella presenza di molecole bioattive negli alimenti che stanno alla base della dieta mediterranea. Tra i più noti composti bioattivi, i composti fenolici sono una classe di molecole dotate di comprovate attività biologiche che risulta largamente diffusa nella frutta, nella verdura e nelle bevande di origine vegetale.
L’idrossitirosolo e il tirosolo sono composti fenolici i ampiamente studiati per le loro proprietà salutistiche. L’idrossitirosolo in particolare, rappresenta uno dei più potenti antiossidanti assunti nella dieta a cui vengono riconosciute proprietà antiradicaliche, cardioprotettive, antimicrobiche, antidiabetiche e neuroprotettive. Tra gli alimenti cardine della dieta mediterranea, l’olio di oliva rappresenta la principale fonte di idrossitirosolo e dei suoi derivati. In particolare, l’idrossitirosolo si ritrova nelle foglie e nei frutti dell’olivo e, conseguentemente, nell’olio, nei quale compare a seguito dell’idrolisi dell’oleuropeina, molecola responsabile del gusto amaro dalle comprovate proprietà nutraceutiche. A fronte di queste attività biologiche, dal 2011 l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) raccomanda l’ingestione di 5 mg di idrossitirosolo e dei suoi derivati presenti nell’olio d’oliva su base giornaliera e, nel 2017, lo ha riconosciuto quale nuovo ingrediente alimentare impiegabile per l’arricchimento degli oli di pesce, degli oli vegetali e delle margarine.
L’altra fonte di idrossitirosolo è rappresentata dal vino. Sebbene le bevande caratterizzate da un tenore superiore a 1,2 % di alcol non possano riportare in etichetta indicazioni di carattere salutistico, negli ultimi 30 anni numerosi studi scientifici hanno suggerito l’esistenza di una relazione tra moderato e regolare consumo di vino ed effetti benefici per la salute umana. Anche in questo caso, tali proprietà sono attribuite alla complessa varietà di molecole bioattive presenti nella matrice.
Sebbene gran parte delle sostanze bioattive presenti nel vino sia di origine vegetale, composti fenolici in particolare, anche i microrganismi sono capaci di arricchire il vino in sostanze dotate di attività biologica. Tra i diversi microorganismi presenti durante il processo di vinificazione, i lieviti rivestono un ruolo fondamentale essendo i diretti responsabili della fermentazione alcolica. Tuttavia, il loro ruolo non si esaurisce solamente nella conversione degli zuccheri in etanolo. Al contrario, i loro peculiari pattern metabolici sono in grado di influenzare direttamente la composizione dei vini con evidenti risvolti sia in termini sensoriali che in termini di accumulo di molecole bioattive di origine microbica.
Le conoscenze del ruolo dei lieviti nella produzione di tirosolo risalgono al 1958, anno in cui Sentheshanmuganathan ed Elsden per primi ne mostrarono il meccanismo biochimico di formazione a partire dall’amminoacido tirosina in condizioni di anaerobiosi da parte di Saccharomyces cerevisiae, lievito di elezione per la produzione di vino e pane. Studi successivi hanno dimostrato come il tirosolo svolga il ruolo di molecola segnale prodotta dai lieviti per scambiarsi informazioni circa lo stato nutrizionale dell’ambiente in cui si trovano e le dimensioni della loro popolazione.
Generalmente nel vino il tirosolo è più abbondante dell’idrossitirosolo ed entrambi sono più abbondanti nei vini rossi rispetto a bianchi e rosati. I contenuti possono variare fortemente da vino a vino in quanto dipendono da diversi fattori. Innanzi tutto, la composizione amminoacidica dei mosti che ne influenza la produzione, e condiziona la rapidità del processo fermentativo. Mosti con bassi contenuti amminoacidici o scarsa disponibilità di ossigeno per i lieviti portano a fermentazioni che si presentano più lente e generalmente a vini caratterizzati da quantità superiori di tirosolo ed idrossitirosolo.
Diversi autori hanno messo inoltre in evidenza come specie e ceppo di lievito condizionino i contenuti finali nel vino di queste due molecole bioattive. Infatti, durante la fermentazione alcolica dei mosti, S. cerevisiae può essere accompagnato da altre specie di lievito, presenti sulle uve e riscontrabili soprattutto nelle fasi iniziali della trasformazione del mosto in vino. Generalmente questi lieviti, comunemente indicati come lieviti non-Saccharomyces, producono minori quantità di idrossitirosolo e tirosolo. D’altra parte è stato anche dimostrato come la produzione di questi due metaboliti secondari sia variabile tra ceppi diversi all’interno della specie S. cerevisiae: di conseguenza nell’ambito di fermentazioni alcoliche che si avvalgono di starter commerciali, la scelta del ceppo impiegato può determinarne delle differenze di concentrazione nel vino finito. Pertanto, alcuni autori suggeriscono come l’aspetto di produzione di molecole bioattive possa rappresentare un criterio di selezione dei ceppi di S. cerevisiae al fine di arricchire il vino in tali sostanze.
*Food Micro Team SpinOff – Università degli Studi di Firenze